La fiducia che questa sia la volta buona, che il governo Draghi possa riuscire a dare alla giustizia le riforme di cui ha bisogno, non è venuta meno: «Abbiamo al governo personaggi di un tale prestigio che volendo possono finalmente portare a dei risultati». Ma per ora Franco Coppi, il più famoso (e vincente) dei penalisti italiani fatica a essere soddisfatto dei risultati raggiunti dalla faticosa mediazione tra le diverse anime della maggioranza. E sul tema cruciale della prescrizione è quasi caustico: «A questo punto era meglio tenersi la riforma Bonafede».
Addirittura, professore?
«Premetto che ho cercato invano di leggere un testo ufficiale e preciso del provvedimento uscito dal consiglio dei ministri, e quindi devo affidarmi alle notizie di stampa. Leggo che la prescrizione verrà interrotta con la sentenza di primo grado, e verranno poi previsti termini tassativi per il giudizio di appello e di Cassazione. Ma c'è un particolare di cui nessuno parla e che mi sembra il più importante di tutti: nell'ipotesi che i due anni concessi per fare il processo d'appello trascorrano senza che si arrivi a una sentenza, che fine fa la sentenza pronunciata in primo grado? Il reato non si può prescrivere perché la prescrizione è interrotta, ma non si può più procedere. Ovviamente la pena inflitta in primo grado non potrebbe essere eseguita: una norma che lo consentisse verrebbe senza dubbio dichiarata incostituzionale. Ma mi metto nei panni di una parte civile, che nel processo di primo grado ha visto riconosciuto il diritto a un risarcimento: se l'appello non si celebra in tempo, che se ne fa di questo riconoscimento? Dall'altra parte, l'imputato può ben dire che se si fosse celebrato l'appello lui sarebbe stato assolto... Insomma, un groviglio. A questo punto sarebbe stato meglio tenersi la riforma Bonafede e buonanotte. Se non altro aveva il pregio della chiarezza».
Il governo sembra fiducioso che due anni per i processi d'appello siano sufficienti.
«Mi sembra del tutto illusorio. A Roma per un processo d'appello se si è fortunati servono tre o quattro anni, si tratterebbe di dimezzare i tempi e non so come pensano di farlo. Anche la previsione di un anno come tempo massimo per i processi in Cassazione mi sembra molto stretta, se guardo a quanto accade attualmente. Anche perché spesso gli atti impiegano molto tempo ad arrivare a Roma, e anche quel tempo andrà computato. Questo è il vero problema».
Sparisce un altro caposaldo del progetto originario della riforma Cartabia: l'impossibilità per le Procure di appellare le sentenze di assoluzione. I grillini l'avevano definita una norma salvaladri.
«E invece era una norma sacrosanta, ed è un male che sia stata eliminata».
Quando la fece approvare Berlusconi, con la famosa legge Pecorella, venne annullata dalla Corte Costituzionale.
«Quella che viene chiamata legge Pecorella fu il frutto di una proposta che era stata formulata dal sottoscritto e dal professor Padovani. In un sistema retto dal principio che un imputato può venire condannato solo se la sua colpevolezza è dimostrata oltre ogni ragionevole dubbio, è persino ovvio che una sentenza di assoluzione sancisce per sempre che quel dubbio sussiste. Tre giudici, addirittura otto, se il processo si è fatto in corte d'assise, hanno assolto. Da quel momento il pm dovrebbe alzare bandiera bianca».
Ma la Corte Costituzionale avrebbe abrogato di nuovo.
«La legge Pecorella fu abrogata dalla Consulta con una sentenza assai discutibile, basata secondo me su un equivoco. E tutte le sentenze sono superabili».
Sembra sparita anche la possibilità per il governo di indicare periodicamente i reati da perseguire con particolare impegno.
«Ecco, questo invece è un bene. L'azione penale resta obbligatoria, e che sia il potere politico a indicare le priorità mi sembra pericoloso. Il governo se ritiene che alcuni reati siano di modesto allarme sociale ha uno strumento potente a sua disposizione, che è la depenalizzazione: una lunga serie di comportamenti possono venire dissuasi con sanzioni amministrative. Ma per una rinuncia di fatto alla obbligatorietà dell'azione penale l'Italia non è matura».
La conseguenza però è che ogni pubblico ministero è sommerso di fascicoli, e decide lui arbitrariamente su quali indagare e quali lasciare in armadio.
«Le Procure dovrebbero rispettare un ordine gerarchico, ci sono dei capi che sono lì anche per sorvegliare che queste cose non accadano».
I grillini hanno ottenuto che per alcuni reati i tempi concessi per l'appello si allunghino a tre anni. Non è irragionevole?
«No, questo è sensato. Ci sono reati che generano un particolare allarme sociale, e a un processo per concussione non si possono concedere gli stessi tempi necessari a un furto in appartamento. E c'è anche una complessità della materia che va considerata».
Firmerà i referendum della Lega?
«Non rispondo».
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