Tutto si muove a Gerusalemme. È arrivato il consigliere strategico di Trump, John Bolton per il summit Usa-Russia-Israele che inizia oggi. I tre consiglieri strategici dei primi ministro parleranno di Siria, di Iraq, di Iran. E che affrontino, loro tre, l'assetto del Medio Oriente di certo non fa stare allegri gli Ayatollah, e nemmeno i palestinesi. Trump ha graziato l'Iran all'ultimo minuto dopo l'abbattimento del drone, e ha detto che spera nella pace e in un futuro stabile per l'Iran stesso. Una visione che si va disegnando sempre di più, quella di un uomo d'affari che intende fornire al mondo non una leadership militare, ma delle ragioni cogenti per capire che la vita deve essere vissuta per quello che ha da offrire oggi, e non come un disegno divino di predominio. Per quel che riguarda l'Iran, le buone intenzioni possono durare tuttavia fino a che le Guardie della Rivoluzione con la loro strategia imperialista non si servono di missili e bombe «contro gli Usa e i suoi alleati», o gli ayatollah non mettano il turbo al disegno atomico. Scenari difficili da prevedere. Per ora quindi Trump non chiude la prospettiva bellica del tutto.
Con i palestinesi, le cose sono negative come sempre: sta per iniziare il summit del Bahrain, 50 miliardi di dollari sono una cifra gigantesca a loro destinata in ospedali, scuole, affari che darebbero forza e potere, in strutture che unifichino Gaza e West Bank, passaggi agevolati, porti e aereoporti. È un enorme progetto di «Pace e prosperità» come si chiama la parte economica del «Piano di Pace» di Trump che mette l'economia prima della dimensione territoriale. La ragione: quest'ultima ha fallito anche di fronte alla migliori intenzioni degli israeliani. Nelle 80 pagine di progetto si promette che «la costa marina di Gaza, 40 chilometri sul mare mediterraneo, potrà diventare una moderna città metropolitana sul mare, come Beirut, Lisbona, Rion de Janeiro, Singapore e Tel Aviv». Il piano promette anche di «investire sul capitale umano» di Gaza e del West Bank, di stabilire almeno un'università che sia fra le prime 150 del mondo, di ridurre la mortalità infantile e allungare l'aspettativa di vita. È interessante? Lo sarebbe come lo erano i piani territoriali di Oslo, ma i palestinesi hanno rifiutato quelli e così rifiutano anche questi. E il rifiuto appare stanco, ripetitivo, con uno sfondo di isteria politica che invita a proteste violente.
L'offerta è colossale, i Paesi sunniti dell'area sono pronti a contribuire, e di certo una partecipazione finalmente attiva dei Palestinesi disegnerebbe un futuro in cui si impongono come partner, non solo come un mondo che conosce solo il rifiuto dell'esistenza di Israele. Tutto si muove, eppure ancora è fermo.
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