Ora l'America va in difesa dell'Artico "Nomineremo il primo ambasciatore"

Per troppo tempo gli Stati Uniti hanno sottovalutato i piani di Mosca. I ghiacci del nord soprannominati "il bancomat di Putin"

Ora l'America va in difesa dell'Artico "Nomineremo il primo ambasciatore"

«Gli Stati Uniti hanno preso una serie di decisioni destinate a cambiare gli equilibri dell'Artico, perché dopo l'invasione russa dell'Ucraina la regione è diventata determinante per la sicurezza globale. Per noi oggi l'Artico è assoluta priorità», ci aveva detto dieci giorni fa un alto rappresentante del Dipartimento di Stato per gli affari europei ed euroasiatici. Un passo esplicito è certamente quello annunciato ieri da Washington di incaricare un ambasciatore plenipotenziario per l'Artico.

La dichiarazione è arrivata poche ore dopo che il Segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, aveva definito «una forte minaccia» la crescente attività di sommergibili e navi da guerra russi nell'oceano polare, in particolare per la presenza dei nuovi missili ipersonici. Gli Stati Uniti hanno a lungo sottovalutato i piani di Mosca, sia militari (sono quasi tremila le testate nucleari russe al confine con la Norvegia e quindi con la Nato) che di sfruttamento energetico nell'Artico, così come hanno poco contrastato le ambizioni della Cina di sviluppo della Via polare della Seta.

Ma ora accelerano per recuperare terreno soprattutto nella corsa per l'accaparramento delle terre rare (quegli elementi essenziali per la tecnologia ad uso bellico e per produrre energia verde), di cui ad esempio la Groenlandia possiede il 30 per cento delle riserve mondiali. Washington ha da poco aperto una sede diplomatica nell'isola degli Inuit, Bill Gates e Jeff Bezos hanno acquisito (attraverso una complessa attività di lobbying internazionale) i diritti per lo sfruttamento del più grande giacimento di terre rare nel Nord Ovest groenlandese. In Alaska è stata pianificata la costruzione di due porti ad uso civile e militare a Nome, sullo Stretto di Bering, cioè dove Usa e Russia confinano e dove in pochi mesi è aumentato del 60 per cento il traffico cinese da e per l'Artico russo, sempre più navigabile lungo la Northern Sea Route, la via marittima Settentrionale, strategica per il trasporto verso Est del petrolio e del gas russo a cui l'Occidente rinuncia come ritorsione all'invasione dell'Ucraina.

«L'Artico è il bancomat di Vladimir Putin», ci ha detto la fonte del Dipartimento di Stato. Di fatto quella che era l'ultima frontiera sta diventando la prima. La regione che, secondo la Nasa, si riscalda a un tasso quattro volte superiore alla media globale è anche quella che custodisce un terzo di tutte le riserve mondiali di combustibile fossile, buona parte del quale nella disponibilità del Cremlino.

Un conflitto tra Russia e Stati Uniti è oggi più possibile che ai tempi della Guerra Fredda. Lo si è capito da un violento botta e risposta della fine di maggio.

«Spaccheremo i denti a chiunque pensi di sfidare la nostra sovranità nell'Artico», ha detto Putin a San Pietroburgo. Pochi giorni dopo gli ha risposto Joe Biden: «L'Artico cambia in modo drastico e drammatico. Oggi vediamo possibile un conflitto con la Russia per il suo dominio».

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