Ora l'obiettivo principale del "rottamatore" è quello di asfaltare la minoranza dem

Il fronte Mdp di D'Alema e Bersani lavora per isolare il padrone del Nazareno

Ora l'obiettivo principale del "rottamatore" è quello di asfaltare la minoranza dem

Roma - Non sappiamo ancora se il segretario del Pd, Matteo Renzi, abbia comprato un biglietto di sola andata, per il tour che lo porterà dal 26 settembre in giro per l'Italia «ad ascoltare le persone, a discutere, in mezzo alla gente». Sarà quello l'atto d'inizio ufficiale della campagna elettorale 2018 (ma quando mai ha smesso). Una campagna di sicuro vitale e vitalistica, considerato che Renzi vi si sa immergere e nuotare come un pesce nell'acqua sguazzando felice. Eppure rischia di essere il giro in tondo nel recinto di un allevamento, più che la trionfale corsa sull'onda cui era abituato. Alla fine, più che la risalita del salmone, potrebbe somigliare all'inumazione d'una salma, seppur grande; traducendosi allora, il suo megalomane progetto di cambiamento, soltanto nella liquidazione dei nemici dentro il Pd e di quelli esterni, i «rottamati» della sinistra (e non è neppure detto).

Angosciato dalle ultime vicende che stanno dilaniando anche quell'area che va da Pisapia a D'Alema, ieri il numero due di Pisapia, Bruno Tabacci, ha avuto un'illuminazione, dopo aver assistito a un'animata discussione tra l'ex leader Bersani e il Pd Guerini in un corridoio di Montecitorio. «Ero lì, ascoltavo e ho capito la radice del problema - racconta Tabacci -: la ferita della scissione non è stata ancora superata, ci sono ancora troppe scorie». La «scoperta» non manca di suggerire allettanti suggestioni, che sembrano animare ipocritamente - sottotraccia e non - gran parte del dibattito sul futuro del centrosinistra (di cui si è fatto portatore anche Paolo Mieli, nell'editoriale di ieri sul Corsera). Cioè che mentre Pisapia è animato da nobili principi e generosità d'animo, l'unica ragion d'essere di Mdp, dunque di Bersani e D'Alema, è invece quella di «arrecare il maggior danno possibile al Pd, nella speranza di scalzarne il leader per poi eventualmente riprendere il dialogo con i suoi successori» (così Mieli). Anche se fosse, ed è legittimo sospettarlo, si tratterebbe di una dinamica propria del sistema proporzionale (la concorrenza al più attiguo) e perciò politicamente «corretta». È chiaro che ieri sia Bersani che D'Alema (un po' meno D'Alema) cercavano di ribaltare il presupposto. «Come mai da tre anni il centrosinistra perde dappertutto?», si domandava Bersani. «Perché la nostra gente testardamente non va a votare? Ci sarà un problema? Non siamo noi di Mdp che rompiamo e indeboliamo il centrosinistra, noi siamo quelli che andiamo a raccogliere un po' di forze...». E D'Alema, aprendo la campagna siciliana per Fava, ribadiva che l'accordo con Alfano, per un Pd «sempre più partito personale di Renzi, è un salto di qualità nella direzione di una deriva neo-centrista». Insomma, se è chiaro che Mdp non potrebbe vivere senza succhiare voti, consensi e idealità a quello che fu il Pd incarnato da Bersani e D'Alema, la certezza della sconfitta e dell'isolamento di Renzi appare ormai matematica.

Prove ne arrivano tutti i giorni, anche ieri che il Pd ha chiesto di far slittare i tempi della legge elettorale per valutare «mutate condizioni del contesto politico». Segno di un'incertezza che è tutta nella testa del Nazareno, ormai regno della confusione e dell'inaffidabilità. Di una furbizia che, alla fine, divora se stessa fino al punto di non ritorno.

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