"Ora vi aiutiamo noi" L'Albania non dimentica e invia i suoi medici

Il premier Rama: "Non siamo ricchi, ma abbiamo memoria". Una lezione per tutti

"Ora vi aiutiamo noi" L'Albania non dimentica e invia i suoi medici

Oggi l'Europa come dovrebbe essere - ma che purtroppo non è - ha la faccia di un premier semisconosciuto, ma che ieri ha parlato da vero statista global, dando una lezione di «umana» Realpolitik ai leader delle cosiddette «Grandi Potenze». Si tratta del primo ministro albanese, Edi Rama, che ieri ha inviato in Italia una squadra di 30 tra medici e infermieri suoi connazionali per «aiutare la Lombardia nella guerra al Coronavirus». Una goccia nel mare dell'emergenza che però ha un enorme valore simbolico ed etico. Quando infatti la solidarietà arriva da un Paese ancora con le ferite aperte per la devastazione del terremoto dello scorso anno, lo sforzo diventa ancor più commendevole. Il premier Rama (in un italiano che farebbe invidia a tanti politicanti nostrani) ha spiegato il senso di questa missione: «Abbiamo memoria. Vogliamo dimostrare all'Italia che l'Albania e gli albanesi non abbandonano mai un proprio amico in difficoltà. Oggi siamo tutti italiani, e l'Italia deve vincere e vincerà questa guerra anche per noi, per l'Europa e per il mondo intero». Chissà se, dopo queste parole, a certa gente (i vari Angela Merkel, Christine Lagarde, Ursula von der Leyen ecc...) saranno fischiate le orecchie. Certo è che la UE del fiscalismo burocratico e dell'afasia morale avrebbe molto da imparare dall'habitus mentale del presidente albanese. «È vero che tutti sono rinchiusi nelle loro frontiere e Paesi ricchissimi hanno voltato le spalle agli altri ha sottolineato Rama . Ma forse è anche perché noi non siamo ricchi e neanche privi di memoria, non possiamo permetterci di non dimostrare all'Italia che l'Albania e gli albanesi non l'abbandonano». Il team sanitario sarà destinato agli ospedali di Brescia e Bergamo, nella zone più colpite dalla pandemia. «Grazie», il tweet del premier Giuseppe Conte, che ha postato il video-saluto del suo collega albanese; un «grazie» anche da parte del capo della Protezione Civile, Angelo Borrelli.

«Sono 30 anni che ci aiutate e supportate ed è il minimo che potevamo fare per voi - ha detto un infermiere di Pronto soccorso di 35 anni di Tirana che fa parte della delegazione decollata ieri dalla capitala albanese e atterrata a Fiumicino -. Io e miei 29 colleghi siamo consapevole di quanto sta accadendo negli ospedali bresciani, ma non abbiamo paura». Ma a cosa si riferisce il premier albanese quando parla di «gratitudine verso l'Italia?». Il pensiero va al 7 marzo 1991, quando decine di navi, assaltate nei porti di Valona e Durazzo, attraccarono a Brindisi con a bordo decine di migliaia di albanesi. Il sindaco della città disse: «Hanno solo fame e freddo, aiutiamoli». E per 5 giorni la città aprì case, scuole e negozi, aiutando chi scappava dopo decenni di regime comunista.

La solidarietà popolare sopperì alle carenze delle nostre istituzioni che, pure in quell'occasione, si dimostrarono inadeguate. Ma agli occhi del governo di Tirana noi italiani facemmo comunque la figura dei «buoni». Oggi per gli albanesi è arrivato il momento di «ricambiare». Dando uno schiaffo a tutti gli egoismi europeistici. E non solo.

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