L'accordo sul recovery fund potrà slittare. Forse i tre schieramenti in campo, il nucleo franco tedesco, gli stati del Sud e i frugali del Nord non metteranno la firma sullo strumento di salvataggio dell'economia europea nel corso del Consiglio europeo del fine settimana, ma la colpa non sarà dell'Italia.
Ieri si è tenuta la bilaterale tra il premier Giuseppe Conte e Angela Merkel. Incontro all'apparenza senza attriti tanto che la stessa cancelliera tedesca ha riconosciuto come dal punto di vista del negoziato la posizione dell'Italia non sia un problema. Le posizioni con i frugali, mai nominati, restano distanti. «Non so se avremo accordo venerdì e sabato», ha riconosciuto Merkel. Ne «sarei lieta» ma «non vedo difficoltà per quanto riguarda la posizione negoziale italiana».
Il problema è che le richieste dello schieramento guidato da Austria e Olanda non cede su condizionalità e sull'entità del piano. Merkel ha riconosciuto che serve un «piano poderoso». Ha definito «una buona proposta» il piano della Commissione guidata da Ursula von der Leyen, anche se si sa che la Germania punta a limitarlo a 500 miliardi di aiuti evitando i 250 miliardi prestiti, troppo vicini a una mutualizzazione del debito.
Nella conferenza stampa alla fine dell'incontro che si è tenuto a Meseberg, località a nord di Berlino dove si trova la sede di rappresentanza del governo tedesco, non sono emersi ufficialmente attriti. Ma anche tra Germania e Italia restano distanze impostanti.
Il principale nodo è al momento quello della governance del Recovery fund. La Germania, al pari dei frugali, vuole dare il controllo dei fondi e il giudizio sull'uso che ne verrà fatto al Consiglio europeo, attraverso un meccanismo che prevede un voto a maggioranza qualificata dell'organismo che rappresenta gli stati.
È la proposta fatta la settimana scorsa dal presidente dello stesso Consiglio Ue Charles Michel che Merkel ha detto di appoggiare. Un modo per evitare che l'esecutivo di Bruxelles, organismo più politico e generalmente più generoso, passi sopra le posizioni dei governi.
Conte si è detto a favore del coinvolgimento del Consiglio «ma sulla fase attuativa, non ritengo sia sua competenza. Non è nostro compito entrare nel dettaglio dell'attuazione ma un monitoraggio ci deve essere, è giusto che ci siano regole chiare per la spesa».
Conte ha assicurato che «l'Italia è per criteri di spesa chiari e trasparenti. In un quadro europeo di solidarietà comune, non stiamo chiedendo fondi per utilizzarli in modo arbitrario, discrezionale sì ma non arbitrario».
Tradotto, il governo non uscirà dai binari della destinazione dei fondi Ue stabiliti dalla Commissione. Quindi competitività e sviluppo sostenibile. Ma sul dettaglio non vuole un controllo e un potere di veto del Consiglio sulle singole spese. Si tratterebbe in effetti di un controllo molto più stringente di quello del Mes, respinto dal governo.
Per convincere Merkel Conte ha giocato la carta della difesa del mercato comune.
«Non è nell'interesse di nessuno, neppure di Paesi che non dovessero beneficiare del programma Next Generation Eu» introdurre condizionalità «al punto da rendere di scarso impatto» del programma. «Sarebbe una follia». Posizione chiara. Peccato che al tavolo della trattativa Roma abbia un potere contrattuale molto limitato. E che Merkel abbia già le idee chiare su quale sarà il compromesso.
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