Saranno gli anni del retaggio storico e Netanyahu starà bene attento a non sbagliare: niente ultradestra, niente sinistra; solo lui, la sua personalità di leader assertivo e pragmatico, il suo realismo saranno invano assediati da ideologie messianiche da una parte e da spinte pacifiste dall'altra, dall'invidia e dalla furiosa quanto ingiustificata disapprovazione personale rispetto al rapporto coi palestinesi. Niente, Bibi non darà retta a nessuno: adesso che ce l'ha fatta combatterà per il suo retaggio storico. Non dimenticherà che è stato sull'orlo del precipizio: la vittoria del quinto mandato, è come un approdo dopo una tempesta fra gorghi di insulti dei politici e della stampa che hanno cercato di travolgerlo come corrotto, traditore, viziato, guastato da troppo potere, forse un po' fascista.
Netanyahu ha raggiunto il suo porto al di là di ogni previsione, mentre i media di mezzo mondo ne facevano un bersaglio di accuse irrazionali e fasulle. L'opposizione di Gantz per quanto moderata si è lasciata andare al consueto linciaggio della «classe dirigente», stile Cinque Stelle. Le sue caratteristiche di statista eccezionale in campo economico, internazionale e tecnologico sono state sommerse dagli insulti, la sua manovra politica preventiva nel cercare alleanze a destra e fra i religiosi è stata vista come un peccato mortale. Naturalmente le trattative di Gantz con i partiti arabi che non riconoscono Israele come stato ebraico e fanno l'occhiolino al terrorismo sono stati invece considerati pluralisti e democratici.
Adesso Bibi ha i suoi 35 seggi circondato da partitini, ognuno armato di pretese. Prima di tutto dovrà cercare di contenere le forze più prepotenti e espansive. Il giovane Bezalel Smotrich, presidente dell'Unione Nazionale con quella faccia da bravo ragazzo, coltiva pensieri suprematisti e annessionisti e chiede i ministeri di Giustizia e Cultura. Bibi dovrà cercare di dare le chiavi fondamentali del governo ai suoi del Likud. Intanto però ha promesso in campagna elettorale alla destra di annettere gli insediamenti: probabilmente ci sarà una frenata, la sicurezza resterà al primo posto senza cedere a chi vuole avventurarsi nelle sabbie di Gaza.
L'incognita formidabile si chiama Donald Trump: ieri il presidente gli ha fatto calorosi auguri aggiungendo che vede nella sua elezione «venti di pace». Un augurio e un puzzle: Netanyahu considera come la gemma nella corona il rapporto che gli ha consentito di vedere l'ambasciata americana a Gerusalemme e il riconoscimento della sovranità sul Golan. Ma Trump ha pronto il suo piano di pace, che ha rimandato per non costringere Bibi a prendere impegni su eventuali concessioni territoriali, che peraltro prevede. Bibi sa che un governo di destra non potrebbe reggere eventuali concessioni e nello stesso tempo sa che è impossibile rompere col grande Paese che ha cancellato il piano sul nucleare iraniano prima di tutto per salvare Israele. Bibi sa che prima che sul suo governo può contare sui palestinesi per bloccare qualsiasi proposta positiva, dato che «non perdono un'occasione per perdere un'occasione»come disse Abba Eban nel 1973. Ma altrimenti resta sempre la possibilità, nel caso i suoi compagni di destra intendano sfasciare il governo, di cercare di formare una coalizione con Benny Gantz.
La pace resta un retaggio molto importante.
In cambio del riconoscimento di Israele come Stato del popolo ebraico da parte del mondo sunnita, di ingenti aiuti economici che portino il popolo palestinese dalla parte del mondo che vuole progredire, una pace di tipo nuovo potrebbe anche essere possibile. Ma la strada è lunga, e c'è anche l' ostacolo delle possibili incriminazioni. Ma questa è un'altra storia.
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