Roma Non bastasse la vergognosa «sgrammaticatura» istituzionale delle «consultazioni parallele» di Renzi a Palazzo Chigi dell'altroieri, quasi a rimarcare il peso dell'ex premier nei confronti dell'arbitro del Quirinale, pare che ieri circolasse già la lista dei ministri del governo Gentiloni. Governo-fotocopia, come quello varato da Giovanni Spadolini nel 1982 (durata: tre mesi e otto giorni). Con premier avatar, come già lo chiama Grillo.
In realtà, è probabile che molte delle caselle risultino assai poco «fotocopia». A cominciare dalla presenza o meno di Maria Elena Boschi, che oltre ad aver subito uno smacco personale con la bocciatura della «sua» riforma, ha più volte ribadito che si sarebbe dimessa come Renzi, in caso di sconfitta. Ieri pare ci avesse ripensato, magari per occupare un dicastero diverso da quello delle Riforme (pur sempre meglio che assistere Matteo nella sua faticosa reconquista del partito). Non si sa perciò chi abbia messo in giro questa voce, considerato che, nell'indice d'impopolarità tra gli italiani non pidini, la Boschi è seconda soltanto a Renzi.
Mal comune mezzo gaudio, però. Se resta probabile la defenestrazione boschiana, anche le altre ex ministre dovrebbero sloggiare: Marianna Madia dalla Funzione pubblica, Stefania Giannini dall'Istruzione, Beatrice Lorenzin dalla Salute. Tutt'e tre imputate di scarsa «redditività» elettorale, anche per via delle capacità mostrate (la riforma Madia bocciata dalla Consulta, quella della scuola dai professori, la Lorenzin con le mille polemiche suscitate). Per di più, si tratta di «pedine» ormai assai deboli politicamente, dunque sacrificabili in un batter d'occhi. Sulla lista dei partenti sicuri, o quasi, ci dovrebbe essere anche il ministro dell'Ambiente, Gian Luca Galletti, che rappresenta Casini e non più un partito. In pratica, un abusivo.
Folta la pattuglia dei riconfermati: dal ministro dell'Economia (Padoan) al guardasigilli che si rafforza (Orlando), al ministro dell'Interno (Alfano), a quello della Difesa (Pinotti). Probabile anche la permanenza del renziano gentile Graziano Delrio alle Infrastrutture. Si è notata la sua assenza dalle consultazioni parallele di Palazzo Chigi, dunque sembrerebbe un po' in calo nella considerazione del sospettosissimo Matteo. Non proprio saldo neppure il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, mentre si dà per scontata la riconferma di Carlo Calenda allo Sviluppo. Si sa che Renzi lo considera una pedina valida anche per sostituire Gentiloni alla Farnesina, ma il presidente Mattarella, che ha bocciato già l'ipotesi di un interim, preferisce candidature di maggior «peso» ed esperienza in campo internazionale. Dal Nazareno si giudica «assai difficile» l'ingresso dell'ex leader Piero Fassino proprio in quella casella, il che significa che Renzi preferirebbe nomi più freschi (gira quello dell'ambasciatrice Elisabetta Belloni) oppure che intende utilizzare la poltronissima per scopi strategici. Dopo il rinnovato accordo con Dario Franceschini, già sicuro della riconferma alla Cultura, una sua promozione agli Esteri ci potrebbe stare. Altro alleato «meritevole» è il giovane Maurizio Martina, già responsabile dell'Agricoltura, che potrebbe assurgere a dicasteri più importanti. Un «nodo» sarà legato ai confini della maggioranza che il premier incaricato sarà capace di delineare. Fermo restando il «no» di Forza Italia, potrebbe mettere un piedino nella compagine un esponente di Ala, il gruppo di Denis Verdini. Due nomi sugli altri: Guido Viceconte (Salute, Agricoltura) o Luca D'Alessandro (Rapporti con il Parlamento).
Nome
fisso da giocare come sottosegretario alla Presidenza resta Luca Lotti, alter ego del Principe e longa manus di Renzi nell'esecutivo del mite e fedele Gentiloni. Perché, come si dice?, fidarsi è bene, non fidarsi è meglio.
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