"Pagate il gas in rubli". L'azzardo di Putin fa schizzare il prezzo ma è un boomerang. E c'è già chi dice no

"Volete il nostro gas? Si accettano solo rubli". Vladimir Putin cala sul tavolo della partita energetica una mano pesantissima. Con una mossa senza precedenti

"Pagate il gas in rubli". L'azzardo di Putin fa schizzare il prezzo ma è un boomerang. E c'è già chi dice no

«Volete il nostro gas? Si accettano solo rubli». Vladimir Putin cala sul tavolo della partita energetica una mano pesantissima. Con una mossa senza precedenti: l'ancoraggio, di fatto, di una valuta a una materia prima. Niente più euro, niente più dollari per saldare le fatture da parte dei Paesi ostili. Una lista di proscrizione che comprende anche l'Italia. Il Cremlino spariglia così le carte, muovendosi in contropiede ancor prima che Bruxelles si azzardi a imporre sanzioni da ultima spiaggia sull'energia. Con due scopi: far risuonare la grancassa della propaganda interna in modo da risollevare il morale di famiglie e imprese, finito sotto i tacchi a causa della svalutazione del rublo; e testare la resistenza economica dei nemici. Duplice, infatti, l'effetto della mossa ieri sui mercati: un certo boost al rublo (il cambio con l'euro è passato rapidamente da 112 a 107, per poi assestarsi a quota 108,5, mentre il rapporto tra dollaro e rublo è scivolato da 103 fino a 97,75); la lievitazione del prezzo del metano a 118,75 euro per megawattora (+16%).

Insomma: facendo leva su una domanda - forte - che già c'era (gas), Putin ha creato una domanda finora inesistente (rubli). Un'operazione, si direbbe, «win-win». Sempre che il Cremlino abbia ben fatto i conti su ciò a cui la Russia va incontro. Ossia un robusto ammanco di riserve valutarie straniere, la linfa vitale per pagare le importazioni. Resta poi da capire se il gioco valga davvero la candela. Nonostante il blocco deciso con lo scoppio della guerra, Gazprom e Sberbank hanno finora continuato a incassare valuta pregiata, convertita poi per l'80% in rubli (il calcolo è del Corriere della Sera), proprio con l'intento di sostenere la moneta russa. Inoltre, è tutta da dimostrare la possibilità di sostituire una moneta con una diversa prevista dai contratti. «Pacta sunt servanda», dicevano gli antichi. I patti vanno rispettati. Una pietra miliare non solo del diritto civile, ma anche di quello internazionale. Un macigno di natura giuridica anche per lo zar Vlad, peraltro laureato in legge, che non a caso ha messo governo e banca centrale spalle al muro: «In una settimana, trovatemi una soluzione». Un imperativo accolto quasi certamente con insofferenza da Elvira Nabiullina, costretta da Putin a rimanere al timone della Banca di Russia malgrado l'intenzione di sbattere la porta. Non senza aver prima accusato il capo del Cremlino di aver «fatto precipitare l'economia in una fogna».

Il diktat valutario ha intanto ricevuto il no di Italia e Germania, i due Paesi più dipendenti dal gas russo. Francesco Giavazzi, consigliere economico della presidenza del Consiglio, cioè l'uomo più ascoltato dal premier Mario Draghi, ha detto che il governo non ha preso alcuna decisione, ma «la mia opinione è pagare in euro, farsi pagare in rubli sarebbe un modo per aggirare le sanzioni, quindi penso che continueremo a pagare in euro». Un nein secco è arrivato anche dal ministro dell'Economia tedesco Robert Habeck: «È una violazione del contratto. Discuteremo con i nostri partner europei su come reagire».

L'azzardo di Putin rischia inoltre di innescare anche un un'ulteriore carenza di gasolio, altro tallone d'Achille europeo. Circa la metà del fabbisogno di diesel è soddisfatto dalle importazioni dalla Russia, e questa sete di gasolio comincia a essere sempre meno soddisfatta. Le raffinerie russe stanno infatti rallentando la produzione a causa della minore domanda, poiché, per il timore di nuove sanzioni, i compratori europei si defilano. Jeremy Weir, ad di Trafigura, colosso nel settore delle materie prime, non esclude «esaurimenti delle scorte» tali da lasciare a secco i distributori di carburanti. Uno scenario non irrealistico: Russell Hardy, a capo del leader mondiale nel commercio petrolifero Vitol, dà come possibile il ricorso a razionamenti. Una roba da austerity anni '70.

Mentre sul versante russo le agenzie di rating continuano a non fidarsi troppo sulle capacità del Cremlino di ripagare i propri

debiti (per Moody's il rischio default resta «molto alto»), oggi alla Borsa di Mosca si rimettono in moto gli scambi azionari, anche se solo per 33 titoli quotati. Prove di normalità in un momento in cui nulla è normale.

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