Palamara, giallo del trojan. Dati trasmessi a un privato

L'ammissione del capo security della società: la legge non è stata rispettata. Il caso della cena con Pignatone

Palamara, giallo del trojan. Dati trasmessi a un privato

È il Grande Orecchio di fiducia delle Procure di tutta Italia, le chiavi Usb con il suo logo sono il gadget più richiesto nelle squadre di polizia giudiziaria. Ma ora Rcs, società specializzata in intercettazioni, finisce sotto inchiesta per il suo ruolo nel caso Palamara. Sono stati i tecnici di Rcs a inoculare nel telefono di Luca Palamara il virus che ha rivelato trame e veleni della magistratura italiana. E ora il capo della security di Rcs, Duilio Bianchi, interrogato come indagato ammette quello che finora aveva sempre negato. Il trojan trasmetteva il contenuto del cellulare non direttamente alla Procura né alla Guardia di finanza, come prevede la legge e come si era detto finora, ma a una sede di Rcs a Napoli. Da lì i dati venivano poi trasmessi agli inquirenti. Ma nel frattempo restavano vulnerabili a qualunque manipolazione.

È una ammissione cruciale, perché potrebbe fare saltare il tappo su uno dei segreti meglio custoditi dell'indagine sull'ex presidente dell'Associazione nazionale magistrati: ovvero la cena tra lo stesso Palamara e Giuseppe Pignatone, procuratore della Repubblica di Roma, la sera del 9 maggio 2019, che secondo la versione ufficiale non venne registrata. Ma le indagini difensive di Cosimo Ferri, parlamentare di Italia Viva e magistrato in aspettativa, davanti alla sezione disciplinare del Csm hanno dimostrato che invece il trojan era acceso. Se quella registrazione esiste la domanda inevitabile, oltre al suo contenuto, è: chi e perchè ha scelto di tenere il potente Pignatone fuori dall'inchiesta della Procura di Perugia?

Duilio Bianchi viene sentito l'altroieri dal procuratore aggiunto di Firenze, Luca Turco, come indagato sulla base delle denunce di Palamara e Ferri di una sfilza di reati: falsa testimonianza, falso in pubbliche forniture, e soprattutto falso ideologico per induzione in errore. L'ipotesi è che la Procura di Perugia sia stata deliberatamente tenuta all'oscuro del reale funzionamento del trojan piazzato da Rcs. Quando Raffaele Cantone, capo della Procura umbra, garantiva che il trojan la sera della cena era muto, lo diceva in convinta buona fede, perchè era quanto gli era stato riferito. Tant'è vero che ora ai apprende che il 9 marzo, dopo che il Riformista aveva dimostrato che al trojan era stato ordinato di registrare la sera del 9, Cantone ha scritto una secca lettera alla Guardia di finanza chiedendo di giustificare tutte le anomalie individuate dall'articolo. Le «fiamme gialle» gli rispondono il 17 marzo con una relazione di quaranta pagine, talmente tecnica da risultare quasi incomprensibile.

Ieri, però, a gettare un primo lampo di luce provvede il verbale di Bianchi, che la Procura di Firenze ha girato in diretta ai colleghi di Perugia e che Cantone deposita agli atti del processo a carico di Palamara. É la prima carta a crollare di un castello di bugie.

A partire da quelle che lo stesso Bianchi disse al Consiglio superiore della magistratura, quando venne interrogato nel procedimento disciplinare contro Palamara e assicurò che i dati erano passati direttamente dallo smartphone agli inquirenti. Peccato che i consulenti di Ferri poco dopo abbiano individuato il vero indirizzo fisico di approdo del flusso: Isola 5E del centro Direzionale di Napoli. Non è un ufficio giudiziario, É la sede di Rcs.

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