Per la seconda volta, da Bruno Vespa dopo Massimo Giletti, Luca Palamara va in tv per raccontare la sua versione dello scandalo che ha travolto, con lui, tutta la magistratura. Chiede scusa, non solo sul sistema delle nomine correntizie ma anche sull'uso politico di inchieste e intercettazioni. Vuole ribaltare il tavolo, insinuare sospetti sull'origine dell'inchiesta di Perugia e sull'uso del Trojan «a intermittenza» che ha ascoltato le sue conversazioni, far tremare chi condivideva con l'ex presidente dell'Anm e poi consigliere del Csm (ora sospeso) la spartizione delle poltrone come l'orientamento delle indagini dei pm per colpire leader di governo, come recentemente Matteo Salvini e ben prima Silvio Berlusconi.
«Crescendo s'impara e l'ho scontato sulla mia pelle, per la legge del contrappasso», dice a Porta a Porta, quando Vespa gli chiede della sua campagna antiberlusconiana e del peso delle intercettazioni per mettere alle strette il Cavaliere. Il conduttore gli fa vedere un filmato del 2011, in cui gli contesta duramente proprio la strumentalizzazione di certe conversazioni, scelte e pubblicate per colpire questo o quel politico. E lui, che oggi si trova nei panni degli antichi avversari con tutte le chat sbattute sui giornali, in poche parole ammette di essersi ricreduto sul circuito mediatico-giudiziario. «Che ci sia un problema mediatico per le inchieste se lo dicessi lo direi riferito a me. Ma potrei citare Luigi Ferraioli, che nel 2012 denuncia le storture di un processo che vede i pm protagonisti e la diffusione di carte prima che siano state notificate agli indagati. Questo non è più un processo penale ma un processo che si svolge in altra sede».
Ai tempi caldi del leader di Forza Italia a Palazzo Chigi Palamara era presidente del sindacato dei giudici, tra il 2008 e il 2012, come capo della centrista Unicost che si era alleata con la sinistra di Area e Giuseppe Cascini era segretario. Da poco le correnti nate negli anni '70 sono cambiate, spiega Palamara, da «fenomeno di pluralismo culturale», con «un'idea corporativista e una più aperta al sociale e più progressista, sono diventate strumenti di potere», così «si va al Csm e all'Anm se si è indicati dalle correnti» e gli altri sono «penalizzati» su tutte le nomine. È anche una reazione alla riforma Castelli, con la gerarchizzazione delle procure che ha dato più potere ai capi, al contrario delle intenzioni. Servono amici ai posti giusti e le toghe accantonano il criterio dell'anzianità per nascondere dietro al merito una maggiore discrezionalità di scelta.
Il mea culpa di Palamara è esplicito. «Provo disagio e un senso di angoscia, non solo verso le persone comuni ma verso i tanti magistrati che ogni mattina si alzano per lavorare e sono totalmente estranei al sistema delle correnti. È il sistema delle correnti, a iniziare dal sottoscritto, che deve chiedere scusa». Però, lui che è in attesa di un rinvio a giudizio e di un processo disciplinare, dice di non volersi dimettere. «No, amo la magistratura, la porto nel cuore, conto di poter chiarire tutto». Ma per lui l'inchiesta qualche cosa di strano ce l'ha. «I fatti dicono che ci sono state anomalie sul funzionamento e intermittenze del Trojan stesso».
Sistema spia che giustificato da un'accusa di corruzione già caduta, per il pm romano, e che non funziona in certe occasioni, come la cena del 9 maggio 2019 per la pensione di Giuseppe Pignatone, procuratore di Roma. E sull'inchiesta relativa alla Banca Etruria, con la famiglia di Maria Elena Boschi, allora e tuttora fedelissima di Matteo Renzi, nessuna ammissione: «Non ho mai fatto favori a nessuno».
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