Accidenti se hanno alzato la testa dai loro abissi informatici, dalle loro «assenze social». Alla faccia della generazione sfiancante che si rende irreperibile versandosi musica nelle orecchie che usano come un filo spinato tra loro e gli altri. Hanno sollevato lo sguardo dagli smartphone, si sono tolti le cuffie e hanno risposto in massa a una chiamata muta. Una mobilitazione spontanea, un'urgenza da cui si sono fatti trovare. Il sindaco di Cesena, Enzo Lattuca, ha addirittura dovuto ammettere problemi di viabilità a causa dei «troppi volontari». Era un'ammissione piena di gratitudine, ovviamente, ma tant'è: «State arrivando in tantissimi qui a Cesena per dare il vostro contributo e di questo non finirò mai di ringraziarvi. Ora però chiedo a chi ancora non si fosse messo in viaggio di non spostarsi, per evitare ulteriori problemi alla viabilità in parte già compromessa». Ragazzi, un sacco di ragazzi di ogni età partiti da ogni dove o che erano già lì e si sono calati dentro un paio di stivali di gomma e hanno imbracciato una pala. In mezzo al disastro dell'Emilia Romagna c'è un gran chiamarsi con voci adulte da poco. Non vogliono essere definiti «angeli del fango» (come i giovani che aiutarono durante l'alluvione di Firenze del 1966), ma lo sono.
A un incrocio di Cesena, in direzione del quartiere di San Mauro in Valle, hanno pure appeso uno striscione, metà in italiano e metà in dialetto: «Non chiamateci angeli del fango ma chi burdel de paciug», che vuol dire «i ragazzi del paciugo». Il paciugo, in Romagna, è un'espressione che indica una poltiglia indistinta: proprio come il fango. Dai giocatori del Cesena assieme al loro allenatore, Domenico Toscano, ai volontari di Horse Angels che hanno salvato un sacco di animali oltre cento tra cavalli, pony, asini, capre, pecore, galline, cani... lavorando dalla mattina alla sera in condizioni estreme, e poi tutti gli altri, giunti soli o in gruppo un po' da ovunque. Spalano e sorridono, sorridono e spalano assumendo la prima attitudine della terra che stanno curando. Gli emiliani e i romagnoli sono proprio così: hanno una complicità con la vita che è diversa da quella di chiunque. La celebrano e si lasciano celebrare di continuo, in ogni modo. Ridono, amano, mangiano e lavorano. È gente che dà, accoglie e «tiene botta». È gente a cui è ora di restituire. Per questo in tanti si stanno riversando lì. Gli emiliani-romagnoli sono pieni del meglio dell'Italia ed esenti dal peggio: come se il Nord avesse perso i tic scendendo fin lì e il Sud si fosse ripulito dai vizi salendo fino allo stesso punto. E sono il collante ideologico del nostro piccolo ma complicato Paese: tutti adorano gli emiliani-romagnoli. Si possono avere in antipatia i milanesi, i torinesi, i napoletani o i toscani. Ma nessuno avrà mai da dire su un bolognese o un ravennate.
Li racconta bene un testo postato su Instagram dal cantante Gianni Morandi che è nato a Monghidoro, vive a Bologna ed è innamorato del suo popolo: «...Gli emiliani-romagnoli sono così... Sono come i giapponesi, non si fermano, non si stancano, e se devono fare una cosa, a loro piace farla bene e bella, ed utile a tutti... Ci saranno pietre da raccogliere dopo un terremoto? Loro alla fine faranno cattedrali».
E si emozionano Carolina e Mirna Casadei, figlie di Raoul: «Brividi... brividi e orgoglio romagnolo» dopo aver visto e sentito tanti giovani volontari cantare Romagna mia mentre raccolgono l'acqua e spalano il fango dai locali e dalle strade colpite dall'alluvione. E dice ancora Carolina: «La nostra musica ha un segreto, che poi è quello della nostra gente: ha i piedi ben piantati a terra.
E quando il vento soffia forte, può sbattere e inclinarsi ma rimane sempre salda e, soprattutto, sa ridere del vento». Ed è così che speriamo riescano a prendere anche questa pioggia ostinata e ostile, con l'aiuto di tutti. Romagna nostra.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.