Fermato, arrestato, ascoltato. Cambia poco, Michel Platini, con l'accento sulla seconda «i» era un ragazzo come noi negli anni '80, nipote di un emigrante, Francesco, che partì da Agrate Conturbia, un paesino sulle lievi colline novaresi, per stabilirsi nel Nord-Est della Francia.
Noi abbiamo sempre voluto bene a Michel, noi di una certa età, perché quelli di adesso, i facinorosi di twitter gli stanno augurando le peggio cose. Per cui assistiamo attoniti, per lui, alla parabola di un uomo che abbiamo amato perché, come pochi giocatori calcio, era dotato di ironia, sia quando colpiva il pallone, sia quando ne parlava. Michel Platini conosce l'art de vivre, non solo il football, ha sempre preso vita e lavoro seriamente senza prendersi troppo sul serio. Ha sempre amato la cucina e se volevi conquistarlo, se vuoi conquistarlo - perché parlarne al passato ? -, ti devi presentare con una mozzarella o con un salame. Apprezzerà.
C'è qualcosa di malinconico in questa parabola e non è casuale che la notizia dell'accusa di corruzione che gli viene rivolta in Francia per l'assegnazione del Mondiale del 2022 al Qatar - oggettivamente assurda - sia arrivata il giorno dopo l'orazione ciceroniana di Francesco Totti contro Pallotta-Catilina. Con le dovute differenze, ma il loro problema è lo stesso: una volta smessi i calzoncini per la grisaglia, i campioni dovevano gestire il patrimonio. Adesso devono gestire l'angustia di non essere più in numeri 1.
Questo è, in sintesi, il percorso di Michel, eterno ragazzo dalla battuta pronta. Abbiamo sempre fatto il tifo per lui. Nel 1986 il Giornale mi inviò a guardare Italia-Francia, ottavi di finale del Mondiale messicano, a casa dei suoi parenti ad Agrate Conturbia, dove Michel è più volte tornato, l'ultima nel 2014 per il funerale dell'adorata cugina Stefania. Mi accorgo, e scusate i riferimenti personali, che per questo giornale seguii molti dei momenti più importanti di le Roi, dal suo primo mese alla Juventus, dopo il Mondiale del 1982, alla sua festa d'addio, a Nancy, nel 1988 per cui vennero tutti, Maradona compreso, a Parigi, qualche mese dopo, era autunno, quando gli venne affidata la panchina della Francia, in una Belgrado scossa dal dopo Tito, quando esordì, perdendo, con la Jugoslavia. Fino alle interviste da dirigente, prima co-presidente del Mondiale francese del '98, poi alla Fifa, fino alla presidenza dell'Uefa nel 2007.
L'allenatore non era il suo ruolo, del resto aveva sempre sostenuto a partita iniziata, perdeva di rilevanza. Meglio la scrivania, ma se sul campo gli avversari avevano una maglia distinguibile, tra i sepolcri imbiancati delle cancellerie del pallone, gli agguati erano meno prevedibili di un tackle. Michel è stato fermato a un passo dalla vetta della sua seconda vita, la presidenza della Fifa. Sepp Blatter, nel 2015, lo ha avviluppato nelle spire di un mortale abbraccio, la magistratura svizzera lo ha indagato, il comitato etico della Fifa lo ha squalificato, il Tas ha inchiodato il feretro della sua carriera.
Nel 2018, i giudici della Confederazione hanno stabilito che era innocente. Grazie, ma troppo tardi. E ora questo.
Abbiamo letto inni compiaciuti alla forca (o alla ghigliottina, più in tema). Visti i precedenti, stiamo accorti. Comunque facciamo ancora il tifo per lui, perché ne esca pulito. Con un po' di egoismo, pure, pensando alla giovinezza, alla sua, alla nostra.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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