Tiziana Paolocci
Violentata e uccisa con due coltellate. Pamela Matropietro, la ragazza romana fatta a pezzi a Macerata il 30 gennaio del 2018, non è morta di overdose ma è stato Innocent Oseghale a toglierle la vita e a farla a pezzi, asportando le parti intime e lavandola con la candeggina per nascondere le tracce dell'avvenuto stupro.
Non ha dubbi il sostituto procuratore Stefania Ciccioli, che ieri nel corso della sua requisitoria davanti alla Corte di Assise di Macerata ha chiesto l'ergastolo e l'isolamento diurno dell'imputato. Ciccoli, nel processo che vede come unico imputato il nigeriano, ha ricostruito i fatti a partire dal momento in cui i resti della giovane sono stati ritrovati chiusi in due trolley a Pollenza. E ha ricordato che l'esito delle indagini e i risultati delle consulenze del medico legale Mariano Cingolani e del tossicologo Rino Froldi portano nella stessa direzione: la diciottenne era sotto effetto di oppiacei ma l'eroina presente nel suo corpo non ha portato ad overdose.
Per l'accusa Pamela è stata attinta alla base del torace destro da almeno due colpi di arma da punta e taglio, che le avrebbero cagionato l'emorragia che l'ha uccisa. Poi, il cadavere non è stato tagliato a caso, ma alcune parti anatomiche del corpo sono state «soppresse» dall'assassino al chiaro scopo di «nascondere la responsabilità di quanto commesso», come il lavaggio con la candeggina dei resti e il dissanguamento. La ragazza, che aveva disperato bisogno della dose di eroina, è stata massacrata perché non voleva più fare sesso con Oseghale. Secondo la Procura lei per il nigeriano era un oggetto sessuale, non gli bastava aver avuto rapporti sessuali con lei, l'aveva offerta anche ad altri, a partire da Awelima Lucky, come testimonia un'intercettazione telefonica.
E Pamela voleva fuggire, ma non le è stato permesso di uscire da quell'appartamento: quando Oseghale è uscito a portare la droga, l'ha segregata un casa. «Ha continuato a pretendere dalla ragazza, stordita, rapporti sessuali a cui evidentemente lei non voleva più accondiscendere - ha spiegato il capo della procura di Macerata, Giovanni Giorgio - quando lei si è resa conto che non avrebbe potuto fuggire, ha atteso il ritorno di Oseghale e gli ha detto che l'avrebbe denunciato se non l'avesse fatta uscire. Pamela ha graffiato il suo aguzzino, il cui dna è stato ritrovato sotto le unghie della ragazza, e a quel punto il nigeriano ha perso la testa e le ha inferto la prima coltellata». «Pamela era una di noi, poteva essere la figlia, l'amica, la conoscente di ognuno di voi - ha commentato ieri l'avvocato Marco Valerio Verni, legale della famiglia Mastropietro -. Non era una ragazza cresciuta allo sbando, senza valori di riferimento, non era una tossica. Era caduta nella trappola mortale della droga era affetta da disturbo della personalità borderline. La richiesta per Oseghale è quella che ci aspettavamo, siamo soddisfatti e anche noi ci assoceremo doverosamente a questa richiesta».
Gli avvocati dell'imputato, Umberto Gramenzi e Simone Matraxia sono pronti a dare battaglia e sostengono che tutti gli esami siano «compatibili» con una morte per overdose e che il delitto di violenza sessuale non sia stato provato. «La nostra linea - ha aggiunto Gramenzi in vista della prossima udienza dove la parola passerà alla difesa - verterà principalmente sugli accertamenti medici legali fatti. C'è stato un contraddittorio tra consulenti del pm e della difesa, non c'è concordanza su tutto.
La Procura ha escluso espressamente l'ipotesi di overdose perché non scientificamente dimostrata: noi riteniamo che la quantità di morfina ritrovata in alcuni distretti e nel sangue possa essere comunque compatibile con una morte per overdose». Altro nodo «cruciale» quello della vitalità delle ferite al fegato: «Noi cercheremo di dimostrare che il delitto di violenza sessuale non c'è stato: la ragazza era consenziente e il consenso non è stato viziato».
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