«Perché detesto il panettone». La tocca piano Tony Turnbull, food editor del Times, uno dei più importanti quotidiani inglesi, che dedica al lievitato milanese addirittura un esplicito richiamo in prima, aprendo di fatto la guerra italobritannica dei dolci natalizi.
L'articolone del foglio londinese (autorevole, si dice così?) è frutto dell'incredibile successo del «pan de Toni» presso i sudditi di Sua Maestà, che prendono molto sul serio il Natale e tutto quanto è a esso collegato. Secondo i dati forniti da Waitrose, una delle più importanti catene di grande distribuzione locali, le vendite del panettone sono cresciute del 24 per cento rispetto all'anno scorso e il concorrente Selfridges è perfino più tranchant: è dal 2016 che il lievitato milanese guadagna costantemente fette di mercato rispetto al diretto concorrente locale, il Christmas pudding, e ormai la proporzione è di tre a uno a favore del dolce italiano, anche se «fino a qualche anno fa la maggior parte dei britannici faceva fatica anche a pronunciare la parola panettone».
Uno smacco per l'orgoglio nazionale inglese, che già subisce la sudditanza italiana in quasi ogni settore dell'agroalimentare (non c'è pubblicità dei supermercati sotto Natale in cui non spunti la sagoma trionfale di un Prosecco, nella terra di sir Winston Churchill, grande fan dello Champagne), e ora è costretto a rincorrere anche negli amati dolci. Perché se in molti casi (vino, pasta, pizza) la perfida Albione non può contrapporre nulla alla nostra biodiversità, in questo caso un enfant du pays c'è, il tristanzuolo Christmas Pudding, che anche nella forma a cupola pare un panettone che non ce l'ha fatta, un mappazzone troppo dolce di uvetta e canditi e tanta altra roba, con l'unico pregio, alla fine, di nascondere al suo interno una monetina di pochi pence che garantisce fortuna per l'anno a venire a chi la trova nella sua fetta.
Nella patria del fair play, ci saremmo attesi onori e gloria per il dolce che ha espugnato la Gran Bretagna. E invece no. Rabbia e rancore, rancore e rabbia. «Lo mangi o lo ri-regali?», insinua perfido il Times, a corredo di un pezzo in cui Turnbull avanza l'ipotesi che «il fascino del panettone sta nel regalarlo, non nel mangiarlo» anche grazie all'enfasi posta sul packaging.
In ogni caso Turnbull si rassegna a degustare e valutare dodici campioni di panettone, per lo più private label dei grandi marchi della GDO (Selfridges, Waitrose, Marks&Spencer, Aldi, Lidl, Asda, Tesco), prodotti quindi non si sa da chi.
I campioni classici da 2,99 a 7,50 sterline sono bocciati o rimandati, con valutazioni da una a tre stelle (nel peggiore, il Morrisons, si intravede anche dello zucchero a velo, orrore!) mentre quelli più costosi, il Marks&Spencer da 12 sterline e il Milano Panettone da 24,99 piacciono molto allo scettico food editor: quest'ultimo prende addirittura cinque stelle e viene descritto così: «Il panettone che prova che mi sbaglio. Leggero aerato, pieno di frutta candita e non troppo dolce. L'unico che davvero mi piace». Cari sudditi, non sarà che siete, oltre che invidiosi, anche un po' spilorci?
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