Lamentarsi e incolpare gli altri non è cristiano, facciamo piuttosto un serio esame di coscienza e proviamo ad accusare noi stessi, ci farà bene. Parola di Papa Francesco che all'Angelus della domenica torna a parlare di una delle cosiddette «porte chiuse» allo Spirito Santo, la lamentela, di cui aveva già ampiamente parlato in passato. Con parole semplici Bergoglio ci ricorda quanto l'essere cristiani non sia soltanto una dottrina o un ideale morale ma soprattutto una relazione viva con Dio, oltre che il testimoniare con parole e opere la gioia di vivere, la gioia del Vangelo. Per questo, anche in mezzo alle tribolazioni, si pensi alla pandemia in corso o alle tragedie del mondo raccontate ogni giorno, il vero cristiano non è mai triste ma testimonia la gioia di Cristo. Francesco ha ribattezzato questo atteggiamento come un «sopportare gioioso», che ci fa diventare giovani e che è tipico anche di chi, cristianamente, s'impegna tutti i giorni per il bene comune. Un po' come il reagire al male di cui ha parlato ieri mattina il Papa affacciandosi dalla finestra del Palazzo Apostolico: «Quante volte incolpiamo gli altri, la società, il mondo, per tutto quello che accade! È sempre colpa degli altri: della gente, di chi governa, della sfortuna, e così via. Sembra - ha aggiunto - che i problemi arrivino sempre da fuori. E passiamo il tempo a distribuire colpe; ma passare il tempo a incolpare gli altri è perdere tempo. Si diventa arrabbiati, acidi e si tiene Dio lontano dal cuore».
Un atteggiamento sbagliato, a dire del Pontefice, che non porta di certo a una condanna senza appello per l'Inferno, in quanto tipico di ogni essere umano, di ogni cristiano: nessuno è perfetto, lo ha detto spesso anche Bergoglio: «Nel cammino che il Signore ci invita a fare, non c'è Santo senza passato e non c'è peccatore senza futuro». Si può provare, però, a essere degli uomini, dei cristiani migliori. Come? Iniziando a essere liberi dal colpevolizzare gli altri per tutto ciò che va male. Dice il Papa: «Domandiamo la grazia di non sprecare tempo a inquinare il mondo di lamentele, perché questo non è cristiano. Guardiamo piuttosto la vita e il mondo a partire dal nostro cuore. Se ci guardiamo dentro, troveremo quasi tutto quello che detestiamo fuori. C'è un modo infallibile per vincere il male: iniziamo a sconfiggerlo dentro di sé. Accusa te stesso. È una saggezza: imparare ad accusare sé stessi. Provate a farlo, vi farà bene. A me fa bene, quando riesco a farlo, ma fa bene, a tutti farà bene». Guardarsi allo specchio ed evitare di puntare il dito verso gli altri per non finire nel turbinio della tristezza, come aveva fatto quella persona, conoscente del Papa, soprannominata «Lamentela», «perché non riusciva a fare altra cosa che lamentarsi», ha raccontato Francesco qualche anno fa, «era il premio Nobel delle lamentele».
Al termine dell'Angelus, il Pontefice è tornato a parlare della crisi in Afghanistan, dicendo di seguire con preoccupazione l'evolversi della situazione nel Paese, con un pensiero speciale per i bambini, ed esprimendo dolore per le vittime degli attentati di giovedì scorso, all'aeroporto di Kabul, con quasi 200 morti.
«Chiedo a tutti - ha detto Francesco - di continuare ad assistere i bisognosi e a pregare perché il dialogo e la solidarietà portino a stabilire una convivenza pacifica e fraterna e offrano speranza per il futuro del Paese. In momenti storici come questo non possiamo rimanere indifferenti, la storia della Chiesa ce lo insegna.
Come cristiani questa situazione ci impegna. Per questo rivolgo un appello, a tutti, a intensificare la preghiera e a praticare il digiuno. Preghiera e digiuno, preghiera e penitenza. Questo è il momento di farlo. Sto parlando sul serio».
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