Il paradosso del premier Gentiloni: si rafforza quando Matteo perde

Il sollievo: "Meno male". Ora lo preoccupa soprattutto Padoan

Il paradosso del premier Gentiloni: si rafforza quando Matteo  perde

Roma - A testa bassa, se possibile ancora di più. Impegnato nella drammatica vicenda bancaria per l'intero weekend e ancor di più ieri pomeriggio con il decreto salva-venete, si potrebbe dire che il premier Paolo Gentiloni non abbia neppure voluto prestare orecchio ai risultati che via via, nella notte, affluivano a Palazzo Chigi dando corpo al tonfo del Pd. Troppo importanti le partite che il premier è chiamato a districare, troppo lieve il peso-farfalla del suo governo perennemente «a scadenza». Metafora del Paese.

Levità diventata, ancor più ieri, la dote capace di assicurare al governo l'atarassica consapevolezza che assai poco cambia: si va avanti come sempre. Le turbolenze del Nazareno si aggiungono alle tante altre. Gentiloni vive «di riflesso», e se un ottimo risultato avrebbe dato voce alle anime renziane che ancora non hanno rinunciato all'idea di elezioni a novembre, uno pessimo - secondo taluni - avrebbe avuto lo stesso effetto. Ma invece l'ulteriore appannamento del Pd nei ballottaggi è l'esito migliore che Palazzo Chigi potesse augurarsi. Ridimensiona i «falchi» del Nazareno, gli implacabili sostenitori del ritorno taumaturgico di Matteo, e induce quest'ultimo a occuparsi del partito prima di staccare per rabbia la spina in anticipo. Un grosso problema sarà anche quello delle alleanze: ora che è tornato Berlusconi vincente, Renzi si vede chiuso il forno a sinistra senza poter immaginare un'alleanza con Forza Italia nella quale sia lui a dettar legge.

Ma il governo non si tocca. «Meno male», aveva sospirato Gentiloni prima che la sconfitta pidina prendesse contorni così clamorosi. E se sotto il Nazareno si è aperta una voragine, a Palazzo Chigi Gentiloni può rinforzare i bastioni.

A impensierire il premier sarà piuttosto la partita bancaria che nei prossimi mesi non mancherà di far sentire i propri effetti nefasti sui conti economici. Il ministro Padoan è sotto scacco e, a quel che se ne sa, anche Renzi non ha digerito il suo agire. Paralizzato quando si sarebbe potuto limitare i danni, grillo parlante e saccente nei momenti in cui l'ex premier non voleva accettare riverberi negativi per la propria immagine, Padoan ora è stato costretto a cavare le castagne dal buco per tutti, e subisce la gragnuola di critiche dalle opposizioni ma anche il «fuoco amico» di parte della maggioranza. Con il Pd in crisi di risultati, la legge di Stabilità dovrà tener conto dei mutati equilibri politici. Crescerà l'influenza della sinistra bersaniana (subito additata come responsabile di molte débacle nelle urne). I prossimi giorni diranno se Renzi avrà digerito il rospo e rinunciato a scaricare le tensioni su Gentiloni. Il quale, soldatino Ryan anche in questa occasione, avrà benedetto il ruolo che oggettivamente lo pone «fuori dai giochi».

È il paradosso gentiloniano: più s'incrina il mito vincente di Matteo, più cresce la sostenibile leggerezza di Paolo l'inaffondabile. Se arriva alle Regionali siciliane del 5 novembre, nelle quali il Pd rischia un nuovo tracollo, Gentiloni porrebbe un'ipoteca su Palazzo Chigi anche per dopo le urne di marzo '18. Altro che Idi.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica