Nei palazzi romani è già partito il count-down della legislatura, che sarà sciolta prima di Capodanno.
C'è un'agenda di massima concordata sull'asse Quirinale-Palazzo Chigi che prevede le tappe di quella «conclusione ordinata» e senza strappi tante volte evocata negli scorsi mesi: domani Paolo Gentiloni terrà la sua conferenza stampa di fine anno, nella quale traccerà un bilancio del suo anno di governo, iniziato dopo le dimissioni di Matteo Renzi. Nelle stesse ore saliranno al Colle i presidenti delle Camere: una consultazione che mai come in questa occasione, con sia Pietro Grasso che Laura Boldrini alla testa dello stesso partitino scissionista di opposizione, sarà una pura formalità, che creerà anche un filo di imbarazzo al presidente della Repubblica.
Del resto, già nelle scorse settimane Mattarella non aveva nascosto una certa riprovazione per la chiassosa «discesa in campo» del presidente del Senato, che sulla carta sarebbe pur sempre la seconda carica dello Stato nonché il presidente supplente, come aspirante leader della formazione politica di D'Alema e Bersani. Tant'è che Laura Boldrini, con maggior rispetto formale della buona creanza istituzionale e forse anche con il gusto di dare una piccola lezione a Grasso, ha atteso che la Camera da lei presieduta avesse esaurito i propri compiti - con l'approvazione della legge di bilancio - prima di buttarsi nella politica militante.
Dopo l'incontro con i due, il presidente della Repubblica comunicherà lo scioglimento del Parlamento, e il presidente del Consiglio convocherà i ministri per varare il decreto che convoca le nuove elezioni, con ogni probabilità per il 4 marzo. Poi Gentiloni salirà anche lui al Quirinale per controfirmare il decreto di scioglimento emanato dal Colle.
L'intera procedura dovrebbe esaurirsi tra domani e venerdì, prima dei festeggiamenti per il Capodanno, e nel suo messaggio a reti unificate della sera di San Silvestro Mattarella potrà tirare le somme della legislatura. Nella cerimonia degli auguri alle alte cariche, il capo dello Stato ha assicurato di guardare con «fiduciosa serenità» al prossimo appuntamento elettorale. Parole forse più di circostanza che dettate da intima convinzione: Mattarella è il primo a sapere che nella prossima legislatura potrebbe trovarsi a gestire una situazione estremamente complicata, senza maggioranze possibili per formare un nuovo governo, e con un Parlamento frastagliato e pieno di populisti vocianti.
Anche per questo il presidente vuole preservare il ruolo di Paolo Gentiloni, che non darà le dimissioni e resterà in carica per gli affari correnti, pronto a presidiare Palazzo Chigi durante la presumibimente lunga vacanza di una nuova maggioranza in grado di eleggere i presidenti delle nuove camere e poi di dar vita ad un esecutivo. In caso di impasse, più d'uno ipotizza che lo stesso Gentiloni possa essere rinviato alle Camere per ottenere una sorta di fiducia tecnica «a tempo» in attesa di nuove elezioni.
Il fallimento dello ius soli dispiace a Mattarella, che più volte ha sollecitato un passo avanti in questo senso. Ma gli appelli a prolungare la legislatura per consentire all'aula del Senato di riunirsi ancora per votarlo non verranno raccolti: al Quirinale è chiaro che il provvedimento non ha i numeri per essere approvato, e consentire un voto di fiducia sul tema provocherebbe un'implosione finale, con dimissioni quasi inevitabili per Gentiloni. Uno scenario da evitare a tutti i costi.
Si chiude così una legislatura iniziata sotto pessimi auspici: la «non vittoria» di Pier Luigi Bersani, privo di maggioranza al Senato. La sua gestione caotica delle elezioni dei presidenti delle Camere prima (scelse i dilettanti Grasso e Boldrini per gettare un amo verso i grillini, senza alcun risultato) e del presidente della Repubblica poi, con la solenne trombatura di Marini e di Prodi, con i «girotondini» in piazza a strillare Rodotà-tàtà, e con la clamorosa rielezione di Napolitano. Bersani ottenne un mezzo incarico dal Colle, trascinò per settimane delle improbabili consultazioni incontrando anche l'Arci, l'Aci e l'Esercito della salvezza, nel disperato tentativo di prendere tempo per sedurre i Cinque Stelle.
Napolitano riuscì finalmente a levarselo di torno e
incaricò il suo vice Enrico Letta, che fece il governo con i voti di Silvio Berlusconi. Poi fu la volta di Matteo Renzi e della sua serrata agenda di riforme, fino allo schianto del referendum costituzionale e all'incarico a Gentiloni.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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