La partita di Tbilisi cruciale per il Cremlino. Da Sofia a Vilnius ritorna l'"estero russo"

A Tbilisi si gioca una battaglia decisiva, che ha in palio da una parte il possibile accesso della Georgia al campo occidentale, dall'altra il ritorno nella sfera d'influenza della Russia

La partita di Tbilisi cruciale per il Cremlino. Da Sofia a Vilnius ritorna l'"estero russo"
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Non sorprende che il partito filorusso al governo in Georgia abbia cantato vittoria prima ancora della fine dello spoglio delle schede. Né che la commissione elettorale centrale, controllata da «Sogno Georgiano» del premier Bidzina Ivanishvili, abbia confermato quella vittoria (con il 53% dei voti), mentre l'opposizione filoccidentale denuncia brogli e pressioni indebite di ogni genere sugli elettori per rendere possibile un risultato che rifiuta. A Tbilisi, infatti, si gioca una battaglia decisiva, che ha in palio da una parte il possibile accesso della Georgia al campo occidentale, dall'altra il ritorno nella sfera d'influenza della Russia.

Battaglia che è parte di un assai più ampio fronte, in quello che a Mosca chiamano «l'estero vicino», ovvero i Paesi ex sovietici diventati indipendenti dopo il crollo dell'URSS nel 1991, ma anche quelli che fino al 1989 avevano fatto parte, loro malgrado, dell'impero staliniano. Vladimir Putin vuole resuscitare questo impero, e per ogni Paese che ha messo nel mirino usa una strategia diversa. Così in Bielorussia è ricorso nel 2020 a un colpo di Stato a sostegno del dittatore vassallo di Mosca Aleksandar Lukashenko; in Ucraina, fallito il tentativo di imporre alla presidenza un proprio uomo (Viktor Yanukovic) che rescindesse i rapporti di Kiev con l'Occidente, è passato nel 2022 all'uso della forza bruta, impantanando la Russia in una guerra infinita; in Moldavia, pochi giorni fa, ha cercato di comprare voti per impedire l'avvicinamento di quel Paese all'Ue, e ci è quasi riuscito.

In Georgia, la situazione è più complessa. Da oltre vent'anni è in corso un faticoso processo politico per avvicinare questa Repubblica post sovietica del Caucaso, patria di Stalin e Beria ma anche del riformista Shevardnadze, all'Europa e alla Nato. Peggio che fumo negli occhi per Putin, che già nel 2008 ha invaso due province (l'Ossezia meridionale e l'Abcazia) trasformandole in pseudo Stati filorussi dove ha piazzato sue basi militari. Una situazione simile a quella moldava (nel cui territorio esiste una Transnistria controllata da Mosca) e a quella ucraina, dove un quinto del Paese è stato occupato a forza. Anche la democrazia georgiana, pur corrotta e fragile, è rimasta in piedi proprio come reazione a questa minaccia russa fin entro i confini nazionali. E proprio in queste ore si sta giocando una partita elettorale decisiva, certamente poco pulita, con il partito populista al potere che ha virato apertamente verso Mosca.

Lo stesso avviene in altri Paesi del «vicino estero» russo.

Anche entro l'Ue, come in Bulgaria e Lituania, dove il Cremlino esercita disinformazione e pressioni per favorire partiti filorussi, con qualche concreta prospettiva di successo a Sofia. Mentre nell'Uzbekistan (Asia centrale) il gioco è più facile: i legami politici e culturali con Mosca sono ancora stretti, e centinaia di migliaia di uzbechi lavorano in Russia.

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