Pugliese tra i pugliesi, sorriso istituzionale che si intuisce sotto la mascherina, sempre pronto nel suo completo blu a posare per un selfie quando glielo chiedono operai o studenti a margine dei tagli di nastro. La passerella tarantina di Conte, che si è portato mezzo governo al seguito nella Città dei due mari, diventa un simbolo del nuovo corso che il premier vorrebbe imporre a una città ferita dall'acciaio e dalla diossina. Ma sembra, appunto, una parata da Prima Repubblica, tra foto di gruppo tra l'arcivescovo e il sindaco, applausi e promesse di svolte green e di tempi record. Il clima è ecumenico, il gruppo compatto. Accanto a Conte c'è il riconfermato governatore pugliese Michele Emiliano, sia alla posa della prima pietra del nuovo ospedale che all'inaugurazione della nuova scuola di medicina, e le tensioni pre elezioni regionali sono dissolte. Ora tra i due è un gioco di rimandi, con il foggiano Conte che inaugurando il cantiere del nosocomio tarantino evoca i tempi record del ponte di Genova, e il barese Emiliano che coglie l'assist e va a rete con una battuta interprovinciale: «Qui siamo in Puglia, ce la facciamo». Per ora, almeno, c'è una pietra, la prima, con all'interno una pergamena che celebra la nutrita presenza istituzionale.
E restando al profumo di Prima Repubblica e ai tagli di nastro, c'è da augurarsi che le promesse di ieri non suonino come quelle di Amintore Fanfani, che alla posa della prima pietra della Salerno-Reggio Calabria, nel gennaio 1962, annunciava che «essa entro tre anni congiungerà nel modo più moderno l'estremo sud della penisola alle Alpi». Ma quei tre anni sono durati mezzo secolo.
Per ora ci sono promesse e inizi - certo promettenti - di nuove opere, di un nuovo corso «green», parola feticcio che tutti ieri nella delegazione governativa non mancavano di ripetere. Anche al via alla scuola di Medicina, ospitata nella vecchia sede della Banca d'Italia, gli amministratori locali promettono un new deal culturale per la città, e l'affrancamento del polo universitario da Bari, dal quale ancora dipende. Francesca, una dei primi quattro studenti di medicina ora iscritti al secondo anno, ricorda, commossa, che Taranto non è solo diossina, non è solo Ilva, ma anche «cultura e arte». E dalle sue lacrime riparte Conte, spiegando di averci letto «la rabbia e il dolore per una comunità che ha accumulato tante e troppe delusioni nel tempo», prima, ovviamente, di promettere - anzi, di «garantire» - che ora invece «la politica continuerà a perseguire questo progetto di rilancio del territorio». La giornata particolare del premier fila via liscia, la firma dei protocolli e dei progetti di riconversione del porto in Prefettura precede il punto stampa, dove il presidente del consiglio chiude in bellezza affrontando il nodo dell'ex Ilva, promettendo che, anche per il futuro del polo siderurgico, «vogliamo accelerare la transizione energetica. Arrivano anche i soldi del Recovery Fund e possiamo farlo, preservando l'occupazione». Nuovo corso (benedetto), ma con una sensazione di déjà ecouté.
Nel 1965, inaugurando proprio le acciaierie di Taranto, il capo dello stato Saragat portava «agli italiani del Mezzogiorno l'assicurazione che lo Stato ha preso effettivamente e seriamente coscienza della realtà meridionale e si adopera per mutarla». Speriamo che la prossima sia la mutazione buona.
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