La raccolta delle firme «va a gonfie vele nonostante l'agosto», assicurano con entusiasmo dal comitato promotore del referendum contro l'Autonomia differenziata. «Una straordinaria partecipazione spontanea di milioni di persone», celebra il capogruppo dem Francesco Boccia.
Ci sono le firme raccolte online sull'apposita piattaforma e quelle prese sui banchetti, che anche intorno a Ferragosto vedranno la presenza di dirigenti del «campo largo», riunito nella battaglia. È «l'estate militante» proclamata da Elly Schlein: «Il conto esatto riusciremo a farlo solo a settembre, ma dovremmo già essere intorno alle 700mila, ben oltre la quantità necessaria», spiega il responsabile Riforme del Pd Alessandro Alfieri. Ma a scavare tra le file del fronte referendario, dietro l'entusiasmo pubblicamente dichiarato, si registrano preoccupazioni e dubbi di varia natura.
Natura tecnica, perché - una volta depositate le firme - sul quesito incombe il vaglio della Corte Costituzionale, e il timore che possa essere dichiarato inammissibile è assai diffuso. Intervistato da Il Foglio, un esperto del ramo come il costituzionalista Giovanni Guzzetta ha fatto un pronostico assai negativo: «Credo sia molto dubbio che la Corte possa accogliere un quesito formulato come abrogazione integrale della legge», che riguarda troppe materie diverse, mentre «un principio cardine per l'ammissibilità è che il quesito sia omogeneo».
«I dubbi sono diffusi, gli stessi ex membri della Consulta che abbiamo interpellato ci dicono che l'esito, sulla base della giurisprudenza, è imprevedibile», confida - a microfoni chiusi - un alto dirigente dem. Per non parlare dei costituzionalisti: «Una comunità peggio del Pd - aggiunge ironico - non ce n'è uno che ti dica la stessa cosa degli altri». Dopodiché, spiega, «non potevamo sottrarci, e comunque se riusciamo a superare il milione di firme il dato politico sarà forte». Il problema dell'ammissibilità, del resto, era ben presente dall'inizio ai promotori. Tanto che il governatore campano De Luca, in accordo col collega emiliano Stefano Bonaccini (e con la stessa Schlein) ha fatto partire, in sordina, un quesito parziale «di riserva», che cancella solo alcuni punti della legge. Mentre dalla Sardegna di Alessandra Todde parte un'altra iniziativa «tampone», il ricorso alla Consulta contro la legge Calderoli. «Ma alla fin fine - ragiona un altro esponente dem - la Consulta potrebbe orientarsi a non ammettere il quesito principale togliendo le castagne dal fuoco a tutti: alla destra, certo, ma anche a noi, visto che il raggiungimento del quorum resta un miraggio».
Ma oltre ai dubbi «tecnici» ci sono quelli politici: a Sud il richiamo anti-autonomia contro lo «spacca-Italia» funziona. A Nord molto meno. E nel Pd settentrionale c'è una crescente preoccupazione: «Certo possiamo attaccare il come della legge Calderoli, ma non il perché: siamo stati i primi a volere l'autonomia differenziata», ricorda un'esponente dem nordista.
Dirigenti del calibro di Giorgio Gori (europarlamentare, ex sindaco di Bergamo) e Emilio Del Bono (vicepresidente del Consiglio in Lombardia) si preparano a mettere in guardia chiaramente il Pd di Schlein sui rischi di un messaggio in chiave «sudista» e anti-autonomista: «L'autonomia è una cosa seria, anche se quella di Calderoli non lo è: con l'introduzione dei Lep potrebbe rappresentare addirittura un mezzo per arginare squilibri e diseguaglianze», ragiona il primo. «L'errore della destra è nel modo», non nell'obiettivo, conferma il secondo. In autunno si aprirà il dibattito.
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