RomaC'è Piero Grasso e Piero Grasso. Quello che il Pd attacca perché non rompe l' impasse al Senato sulle riforme addirittura ammettendo il voto segreto per una parte degli emendamenti, come è successo mercoledì e quello che il Pd difende ad oltranza perché va avanti speditamente, pretendendo lo scrutinio palese per la decadenza di Silvio Berlusconi, come si è visto a fine novembre scorso.
Lui, l'ex magistrato una volta a capo della Superprocura antimafia e oggi seconda carica dello Stato, dice di essere sempre lo stesso, ligio al regolamento di Palazzo Madama.
Mentre il suo partito, a giudicare dal comportamento degli ultimi giorni, fa scudo al presidente del Senato solo quando va nella direzione voluta.
Ma se invece scatena la furia del premier Matteo Renzi e provoca l'irritazione nel Pd perché non stronca subito l'ostruzionismo in aula, allora viene accusato di connivenza col nemico, per costringerlo ad arrivare al contingentamento dei tempi com'è avvenuto giusto ieri.
Al sesto giorno di sedute dei senatori, dopo quattro ore e due votazioni per bocciare i primi due emendamenti al ddl del governo sulle riforme e poi ancora parecchio tempo per votare il terzo, la maggioranza si rivolta contro Grasso, reo di aver concesso il voto segreto richiesto da Sel e anche da M5S. «Che sta facendo presidente?», gli grida, brutto muso, in aula il presidente dei democratici, Luigi Zanda: «In che cosa consistono i suoi poteri di coordinamento?». Anche per il numero due del Pd in Senato, Stefano Lepri, è una «scelta incomprensibile» quella di aver accolto una parte delle 920 richieste di voto segreto.
Grasso ha prima riunito la Giunta per il regolamento per sapere come comportarsi e gli hanno risposto che in certe fattispecie particolari, come per le minoranze linguistiche, bisogna dire di sì. Ma per Zanda e i suoi la decisione è «politica» e le «interpretazioni forzate, artificiose e strumentali» non sono ammesse.
Mentre i veleni spaccano casa Dem, contro Grasso scende in campo anche Giorgio Napolitano e ammonisce che bisogna evitare una «paralisi che porta grave danno al parlamento».
Insomma, il presidente del Senato viene impallinato senza complimenti dai suoi e si accredita il sospetto che l'ex toga stia giocando nell'arena del Senato una «sua partita».
Scena ben diversa si era vista a fine novembre, quando il Pd applaudiva Grasso e lo difendeva dalle critiche del centrodestra perché, regolamento alla mano, giudicava «non accoglibile» la richiesta di alcuni senatori di Fi di procedere con il voto segreto sulla decadenza del leader da senatore, dopo la condanna Mediaset. Allora, per i Dem era vangelo la decisione della stessa Giunta per il regolamento sulla necessità dello scrutinio palese perché non si trattava di «voto sulla persona».
Mentre era Renato Brunetta a parlare di «faziosità» di Grasso e di «forzature inaccettabili», contro la sinistra schierata per il voto palese per accelerare i tempi della partita ed estromettere al più presto dal parlamento l'ex-Cavaliere. In quell'occasione, per il Pd, il regolamento era sacro e Grasso era il suo paladino. «L'arbitro» per eccellenza, nell'aula di Palazzo Madama, spiegava compiaciuto Luigi Zanda.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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