C’è chi parla di “rigurgiti” renziani e chi teme la marginalizzazione del Partito democratico: l’aria a Largo del Nazareno è quella dello scontro totale. Perché il segretario Nicola Zingaretti ha lasciato intendere di non voler cedere il passo. Anzi. E anche l’ipotesi di una sua resa onorevole, ossia lasciare la leadership del Pd per candidarsi a sindaco di Roma, pare tramontata. Una situazione che agita le acque. “Se continua così ci porta all’irrilevanza con l’abbraccio mortale a Conte e al Movimento 5 Stelle”, spiega una fonte parlamentare dem, ostile all’alleanza strutturale con il M5S. “Quando Renzi è andato via – è il ragionamento fatto dalla minoranza – voleva portare il Pd al di sotto del 10%, per inseguire l’operazione-Macron. Ecco quello che non è riuscito a Italia viva, sta riuscendo a Conte. Grazie a Zingaretti”.
Uno scenario che nel partito ha fatto scattare l’allarme rosso: per questo l’obiettivo è il cambio alla guida della segreteria. “Non ci giriamo intorno, il capitale di fiducia concesso a Zingaretti è stato bruciato. Dalla vittoria delle primarie a oggi ha compiuto una serie di errori”, accusa con durezza un deputato. Ma l’intento del segretario è quello di resistere, confermando il congresso per la data naturale: il 2023. Il motivo? Vuole essere lui a fare le liste alle prossime Politiche, spiegano dalla minoranza. “Solo che non ce la farà. Il congresso sarà celebrato prima perché lo vogliono tutti”, prevede un esponente di Base riformista, la corrente che fa capo agli ex renziani, Lorenzo Guerini e Luca Lotti.
La controffensiva di Zingaretti
Il presidente della Regione Lazio, comunque, sta approntando la controffensiva. La prima mossa vuole essere la nomina di Cecilia D’Elia come vicesegretaria: un profilo stimato che troverebbe concorde anche una buona fetta della minoranza. Resta da convincere la diretta interessata che è invece restia a diventare la numero due del Pd. Inoltre, Zingaretti ha rinsaldato l’asse con Andrea Orlando, difendendo il suo ruolo di vicesegretario, nonostante il passaggio al governo come ministro del Lavoro. Mezzo partito gli chiede di mollare la poltrona da vice, ma Orlando resiste. E Zingaretti lo sostiene. Le altre pedine che il leader dem vuole muovere portano a un consolidamento della sua posizione. Dopo aver piazzato l’assessore alla Regione Lazio, Alessandra Sartore, come sottosegretaria, sta puntando sul profilo del sindaco di Pesaro, Matteo Ricci, per sedare i malcontenti del “partito dei sindaci”, capeggiato da Dario Nardella e Giorgio Gori. Con Antonio Decaro più defilato.
“Zingaretti vuole promuovere una classe dirigente dem, fatta da giovani amministratori e dirigenti competenti”, riferiscono a IlGiornale.it fonti vicine al segretario. È partito il corteggiamento a Giuseppe Provenzano, l’ex ministro del Sud rimasto fuori dalla composizione del nuovo esecutivo. Ma lo stesso Provenzano non sembra interessato a indossare i panni di pretoriano del segretario. Tanto che l’ex ministro ha lanciato un affondo a Conte: “Rivendicare non tanto il populismo sano (qualunque cosa voglia dire) ma quello del primo governo e al tempo stesso guardare al socialismo europeo è un nonsense. Le alleanze sono necessarie ma per il Partito democratico ora è tempo di ripensare se stesso, per una sinistra che non deleghi niente a nessuno”. Più facile, per Zingaretti, spingere sull’ex deputato romano Marco Miccoli o il dirigente campano Nicola Oddati.
Donne al potere
Il contrattacco di Zingaretti non si annuncia facile. Certo, l’uomo cruciale per gli equilibri, Dario Franceschini, è fermo, in attesa degli eventi: ufficialmente sempre dalla parte del segretario. Ma Matteo Orfini, riferimento della componente dei Giovani Turchi, ha lanciato un attacco diretto sulla linea politica: “Ci sarebbe un accordo Zingaretti-Salvini per quel maggioritario a cui il segretario alludeva. Riassumendo: abbiamo tagliato i parlamentari per subalternità al M5s e ora facciamo il maggioritario per compiacere la destra”, ha scritto su Facebook. “Ovviamente – ha aggiunto Orfini – avendo negli organismi deciso di fare esattamente l’opposto”. E nel partito sono in molti a dargli la ragione.
Infine, prende forma la costruzione di una leadership al femminile. La proposta, lanciata dall’ex ministra Paola De Micheli, incontra consenso tra le donne del Pd.
“Magari una giovane, capace, e con esperienza”, spiegano fonti interne. I nomi? “È ancora presto”. L’importate, ora, è spingere all’uscita il segretario. E bisogna farlo, osserva una fonte della minoranza, “prima che porti il partito a fondersi con i 5 Stelle”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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