Il Pd teme i suoi cecchini e parte l'acquisto dei voti

Grandi manovre con Sel e la fronda di Civati per evitare figuracce come quella dei 101 che silurarono Prodi. Il sì unanime dell'assemblea dem non dà garanzie, servono più consensi

Il Pd teme i suoi cecchini e parte l'acquisto dei voti

A spettando novità. Matteo Renzi taglia e ritaglia nella notte la carta Mattarella, con fitta ragnatela di sms inviati al capogruppo Speranza, a Bersani, per finire con la telefonata mattutina a Nichi Vendola. «I voti di Sel saranno determinanti e sarà una candidatura fuori dal patto del Nazareno», assicura. Il governatore pugliese ancora non si fida, ma i segnali che provengono dallo spento vulcano grillino non lasciano margini di manovra. «Con i nostri 33 voti - dirà uno dei suoi fedelissimi - che altro avremmo potuto fare? Lanciare Prodi noi alla prima votazione significherebbe bruciarlo per sempre». «Ce ne vorrebbero da subito almeno 150», argomenterà una Rosy Bindi più malleabile che mai.

Aspettando novità che non arrivano, le armi degli oppositori interni a Renzi si spuntano di ora in ora, mentre il premier ha già aperto la serranda del terzo forno: dopo quello del governo con Alfano e quello delle riforme con Berlusconi, arriva la premiata maggioranza con la sinistra per il Quirinale. Troppo furbo per essere vero? Forza Italia e Ncd masticano amaro, si sentono traditi, ma Renzi ha già cominciato la vendita al dettaglio e pure la sinistra vendoliana comincia a ingolosirsi per una riacquistata centralità politica. «Vediamo se il Pd regge nelle prime tre votazioni, per ora noi votiamo la Castellina», spiega Nicola Fratoianni. Poco dopo, un ulteriore conciliabolo di Vendola con Gianni Cuperlo dà il via libera al voto per Mattarella nella quarta. «La sua statura, la sua caratura democratica è quanto di più contrario e lontano possa esservi al Patto del Nazareno. È una nostra vittoria politica», dirà il leader di Sel.

Nel frattempo, all'assemblea pidina, Renzi ha già toccato le corde dell'orgoglio: «Cancelliamo lo smacco del 2013». E anche quelle, assai persuasive, della minaccia: «Il candidato è uno, non ce ne saranno altri del Pd». Ma a questo punto non serve neppure più lo spauracchio di un nome extra-politica o extra-Pd, perché già dal mattino erano fioccati «sì» a Mattarella anche da coloro che poco prima si sarebbero buttati nel fuoco per Prodi. E il Professore, racconterà una Bindi spiazzata da quello che fu il suo alter ego nella lotta a Buttiglione segretario Ppi, «mi ha detto di non voler essere più usato, si tira fuori».

Aspettando novità che non ci sono, ecco così ripetersi (forse persino pericolosamente) la stessa entusiastica approvazione della candidatura da parte dell'assemblea pd. Unanimità per l'unico nome in grigio capace di recuperare l'unità del partito. «Renzi ha fatto due conti, Mattarella è quello che avrebbe perso meno voti nel segreto dell'urna», dicono i bersaniani. Ormai è tutto un epinicio alle qualità dell'uomo «dalla schiena dritta», e cede la diga di Pippo Civati, che se la prende con l'inattualità dell'infantilismo grillino. «Io voto Prodi nelle prime tre; quando proposi Mattarella, un non Nazareno, mi risero dietro. Ora è tutto cambiato e alla quarta sono pronto a votarlo, basta che il patto del Nazareno non rientri dalla finestra, e Mattarella non conceda le elezioni a Renzi...».

Anche Bersani s'intesta la vittoria: «Questa volta i Grandi elettori devono essere leali, me lo devono. Mattarella va bene, ce la faremo. Tutti uniti». Cosa che si potrà toccare con mano solo alla quarta votazione. Novità permettendo.

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