Ci sorge un rovello, anche se non tale da provocarci insonnia. Elly Schlein voleva davvero diventare segretaria del Pd oppure anche lei non si è vista arrivare? Può essere che avesse partecipato come si partecipa alle primarie Pd, per contarvi poi, di fronte al vincitore preannunciato, e che invece il destino cinico e baro di saragattiana memoria l'abbia condotta al Nazareno? Sono domande che sorgono vista l'improvvisazione e la lentezza della sua azione, come di chi appunto non avesse messo molto in conto l'ipotesi trionfale. Anche la confessione di essere un po' stanca, che i manuali di politica vietano di pronunciare a chi è impegnato nell'agone pubblico, sembra il frutto di una psicologia poco allenata alle durezze, e diciamo pure alle coltellate che, nel passato più o meno recente, hanno stroncato fisici ben diversamente temprati, come quelli di Veltroni, Bersani e Renzi, tanto per citare i principali. Anche il suo metodo di lavoro appare alquanto privo di una sua logica. Schlein ha vinto sulla spinta della rottamazione (anche se questa parola non si può pronunciare), dell'eliminazione delle correnti e del taglio di teste ai cacicchi. Ma poi la nuova segretaria ha generato ulteriori nuove correnti e, quanto ai cacicchi, non vanno bene quelli campani alla De Luca mentre sembrano essere ottimi quelli levantini alla Emiliano. Strategicamente, la condotta schleiniana per ora va interpretata come una sorta di para grillismo, tanto sui temi e sulle proposte, in molti casi perfettamente sovrapponibili a quelle di Conte, quanto nel metodo: scegliere figure iconiche, anche se con la storia del Pd non c'entrano nulla, ma che solleticano il populismo rosso.
Per fortuna ci è stato evitato Mattia Santori in segreteria, ma il giornalista braccio destro di Santoro per decenni, Sandro Ruotolo, fino a poco tempo fa neppure iscritto al Pd, come responsabile cultura, cosa significa? Nella migliore delle ipotesi, nulla, nella peggiore, un disastro. Ancor più grave la nomina agli esteri dell'ex vice segretario Provenzano, amico di tutti i presidenti para comunisti dell'America latina e, quel che è peggio, favorevole a rivedere la linea troppo filo Usa e filo Ucraina imposta da Letta. Pare abbiano invertito le lettere. Non più Pd ma Dp, acronimo per Democrazia proletaria, il partitino di ultra sinistra di Mario Capanna negli anni 80.
C'è da chiedersi con quale stomaco
potranno convivere i cosiddetti riformisti ex renziani, anche se l'affondamento del terzo polo calendiano lascia loro poco margine. Pare tutto pronto insomma per il grande abbraccio populista: e per lunghi anni di opposizione
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.