Perù peggio del Brasile, nonostante il lockdown

Le misure severissime non hanno frenato l'epidemia. La popolazione non segue le regole

Perù peggio del Brasile, nonostante il lockdown

Paolo Manzo

San Paolo Il lockdown serve? La domanda sorge spontanea se uno guarda ai numeri del Perù, dove i morti da Covid 19 per milione di abitanti sono pari a quelli del Brasile, ovvero poco meno di 200 contro i 600 dell'Italia. Eppure il governo peruviano guidato dal presidente Martín Vizcarra sembrava avere fatto tutto bene all'inizio. Aveva imposto una quarantena tra le più severe al mondo, con coprifuoco dalle 8 di sera sino alle 4 del mattino durante la settimana, anticipato dalle sei del pomeriggio nelle regioni del nord del Paese e dell'Amazzonia dove, con la capitale Lima, il contagio è più diffuso. Non bastasse, il divieto di uscire è stato esteso da metà marzo dalle 8 di sera del sabato sino all'alba del lunedì, con tutte le persone costrette oramai da tre mesi a trascorrere le domeniche in casa. Un modello sulla falsariga di quello italiano. Per giunta Vizcarra aveva imposto queste misure quando nel Paese andino c'erano meno di 100 casi confermati, facendo del Perù la prima nazione sudamericana ad imporre un lockdown. Come spiegare allora che oggi, 91esimo giorno di chiusura, in un Paese di appena 30 milioni di abitanti ci siano oltre 220mila positivi e quasi 6.500 morti?

Un disastro inatteso perché, ad esempio, la confinante Argentina, che ha seguito più o meno lo stesso modus operandi, è invece riuscita sinora a minimizzare la strage. Ma un disastro anche paradossale visto che le misure prese dal Perù all'inizio erano state elogiate da quasi tutti gli esperti epidemiologi, locali e internazionali, compresi i rappresentanti dell'Oms. Di certo c'è che la popolazione non ce la fa più con la quarantena che il presidente ha esteso sino a fine giugno, anche perché di risultati non se ne vedono e proprio giovedì, dopo tre mesi di lockdown, il Perù ha battuto con 206 decessi il suo nuovo record di morti da Covid 19. «Il problema è che molti non seguono le regole spiega Luis Arfinengo, un italo-peruviano che vive in provincia di Cuneo, ma da mesi bloccato in Perù Lo fanno perché devono portare la pagnotta a casa e, al di là delle promesse del governo, gli aiuti alle piccole e medie imprese non sono arrivati e, anzi, con la corruzione si sono trasformati nella solita mafia». Il 70% dei peruviani ha lavori informali e impedire loro di uscire di casa senza però erogare i fondi promessi spiega perché gran parte delle persone più umili faccia di tutto per violare la quarantena.

Inoltre la «cultura della mascherina e del distanziamento» è difficile da fare accettare, non solo dalla popolazione ma anche dai tanti politici, poliziotti e persino medici e infermieri, sorpresi in questi mesi a fare feste, a volte anche in ospedali oramai al collasso. Per non dire poi del fiorente «mercato dei documenti falsi» acquistabili da chi è testato positivo ed al quale ricorrono in molti, diffondendo così ancor di più il virus.

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