Pentirsi non basta, Pistorius resta in cella

I giudici respingono la richiesta di libertà condizionata all'ex campione

Pentirsi non basta, Pistorius resta in cella

Resta dove si trova. Ha corso senza gambe, ora non va proprio da nessuna parte. Nella prigione di Atteridgeville in una cella singola (dopo che gli altri detenuti lo hanno pestato e accoltellato) di pochi metri quadrati con bagno e lavandino. Nell'udienza di ieri, Oscar Pistorius non ha ottenuto la libertà condizionata. Ha scontato in carcere otto dei quindici anni inflitti per aver ammazzato la sua fidanzata, Reeva Steenkamp, con 4 colpi di pistola nel 2013 a Pretoria, ma non basta. Non è sufficiente per i genitori di Reeva «non ha mai neppure ammesso di averla uccisa di proposito, per gelosia», e non è sufficiente per i giudici che riesamineranno «la richiesta tra un anno». La madre di Reeva si era sempre rifiutata di vederlo, fino allo scorso giugno quando sembra che l'ex atleta sia esploso in un pianto disperato, si è gettato a terra davanti a lei. Ma non basta. June Steenkamp ha perso una figlia di 29 anni, l'ex atleta può restare a pulire i bagni della prigione e a coltivare i cavolfiori: è questo che fa lì oggi. E verosimilmente, per gli Steenkamp, può continuare a farlo fino a fine condanna. Non importa quanto sia cambiato, quanto secondo il suo ex manager, Peet Van Zyl sia sofferente: «È dimagrito molto, fuma tantissimo, nevroticamente, una sigaretta dietro l'altra e gli sono anche caduti i capelli» ha raccontato l'uomo. Ora sta studiando business administration, per dedicarsi, una volta fuori, al mercato immobiliare. Ma intanto è lì dentro: insonnia, incubi, sonniferi... Capita quando la vita ti ripassa davanti ogni volta che chiudi gli occhi. Specie certe notti, o meglio quella notte. Quattro colpi da una delle sue adorate pistole «pensando che quei rumori venissero da qualche malintenzionato». Invece dall'altra parte della porta del bagno c'era il corpo di Reeva massacrato. Inquadratissimo e instabilissimo Oscar, da tutta la vita: è arrivato ad essere il commovente campione dei 400 metri su quelle protesi in titanio ma anche stato un bullo pieno di eccessi e manie: Porsche, ville, tigri bianche, cavalli da corsa, cani da combattimento e armi, un sacco di armi... In Sudafrica si sentiva potente, si percepiva «tutto intero» e dava il peggio di sè. Come quella volta che, con un motoscafo, finì a tutta velocità contro un pontile: la faccia disfatta, 172 punti di sutura e un sacco di interventi ricostruttivi.

In rincorsa dietro al riscatto, tutta la vita. A prendersi il vento a morsi, senza che niente mai bastasse. Nemmeno quella fidanzata bellissima, dolce e piena di talento che lo amava come se non avesse bisogno del titanio delle protesi né di dimostrare nulla.

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