Il penultimatum di Matteo Renzi arriva poco dopo pranzo, quando l'ex premier prende la parola in Senato per affondare ancora una volta i colpi su Giuseppe Conte. Non è proprio «l'ultimo appello» che una «velina» di Italia Viva aveva preannunciato qualche ora prima con sonoro rullare di tamburi, alimentando grandi attese per l'intervento a Palazzo Madama del senatore di Rignano. Ma, certo, è uno strappo che segna la tenuta di un governo già fortemente affaticato. Politicamente - ma anche umanamente - i due sono ormai distanti anni luce, tanto che Renzi decide non casualmente di fare del parallelismo tra Conte e Matteo Salvini il leitmotiv di quella che è qualcosa di molto vicino a una requisitoria. Una scelta che il premier - visti i pessimi rapporti con il leader della Lega - certamente non deve aver gradito. Così, prima lo accusa di «paternalismo populista», invitandolo a uno sforzo di «verità» perché andando avanti su questa strada «non avrà Italia Viva al suo fianco». E poi torna alle ragioni che ad agosto scorso hanno portato alla nascita del Conte 2 e la butta lì. «Non abbiamo negato i pieni poteri a Salvini per darli a lei», affonda il colpo. Nei banchi del governo il premier è impassibile, anche perché a Palazzo Chigi sono consapevoli da tempo che il leader di Italia viva sta ormai cercando solo il pretesto e il momento per far saltare tutto. Ecco perché il premier pubblicamente sceglie di incassare in silenzio. «Renzi ha chiesto di fare politica e la stiamo facendo, quindi non c'è nessun ultimatum», dice lasciando Palazzo Madama. E Maria Elena Boschi lo segue sul suo stesso terreno. «Nessun ultimatum, solo proposte per cercare di fare meglio insieme», dice il capogruppo renziano alla Camera, dimenticando che il suo leader ha appena cannoneggiato il premier in diretta tv. D'altra parte, una cosa sono le dichiarazioni pubbliche, altra quelle private.
Nel Pd, intanto, iniziano a muoversi con l'obiettivo di anestetizzare in qualche modo Italia Viva, perché - dice un big del Nazareno - «non possiamo permetterci di essere ostaggi di Renzi». L'ex premier, in verità, non pare abbia le idee chiare sul da farsi, ben consapevole che una crisi di governo nei prossimi mesi potrebbe rivoltarglisi contro e lacerare i gruppi parlamentari di Iv (con il rischio di un contro-travaso nel Pd). Ecco perché il senatore di Rignano starebbe ragionando su uno scenario sì di rottura, ma meno deflagrante. Quello di un appoggio esterno a giugno, con Italia Viva che ritira dal governo i suoi due ministri (Teresa Bellanova ed Elena Bonetti), così da indebolire al massimo Conte e prepararsi ad affondarlo alla prima occasione utile, magari quando a settembre il quadro economico si farà ancora più cupo. Scenario, questo, che i vertici del Pd rispediscono al mittente. «L'unica alternativa a questo esecutivo è il voto», è il refrain ufficiale, concordato recentemente in videoconferenza da Nicola Zingaretti, Andrea Orlando, Dario Franceschini e Lorenzo Guerini. In verità, lo sanno bene tutti, un ritorno alle urne nel 2020 è altamente improbabile per una lunga serie di ragioni (non ultime i dubbi del Quirinale). Non è un caso che i dem abbiano già iniziato a lavorare su una pattuglia di dieci-quindici senatori che potrebbero essere i nuovi «responsabili» se davvero Renzi decidesse di andare allo show down. Anche se al Nazareno sperano ancora di disinnescarlo, tanto da avergli ventilato l'ipotesi di un rimpasto.
In verità, è abbastanza chiaro che Renzi è ormai in rotta di collisione con la sua stessa maggioranza esattamente come accaduto lo scorso agosto ad un altro Matteo.
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