Perché Miglio avrebbe detto no al ddl Boschi

di Carlo Lottieri

C on l'intensificarsi del dibattito sul referendum costituzionale, può essere interessante provare a chiedersi (sapendo, ovviamente, che si tratta di mere ipotesi) cosa oggi avrebbe detto della riforma Boschi il professor Gianfranco Miglio, ossia colui che è stato il più originale scienziato politico dell'Italia di secondo Novecento.

La domanda è tanto più opportuna in quanto è proprio a lui che si deve la nascita di un ampio dibattito sul decisionismo e sulla necessità di governi forti. Egli organizzò il «Gruppo di Milano», che elaborò un progetto orientato a rafforzare il governo, e anche per questo attirò l'attenzione di Bettino Craxi.

Apparentemente, saremmo insomma dinanzi a una riforma costituzionale di carattere migliano, ma non è così. È infatti probabile che il Miglio più maturo, che elaborò tesi ardite in tema di neofederalismo, avrebbe sparato a zero: con argomenti del tutto opposti rispetto a quelli usati dai vari Zagrebelsky e dagli altri difensori della sacralità del testo costituzionale.

Secondo Miglio, l'ipotesi di un esecutivo autorevole era associata all'idea di reintrodurre logiche di responsabilità in una politica dominata da governi balneari e da un costante scaricabarile. In sintesi, si doveva scegliere chi comandava, dargli veri poteri e poi giudicarlo.

Ma in seguito cambiò opinione, persuaso che lo Stato moderno in quanto tale andasse messo in discussione, partendo da una valorizzazione del mercato e del contratto. Non c'è vera responsabilità, né alcuna possibilità di chiedere conto a nessuno di quanto fa, entro una struttura che nega alla radice tutto ciò. Il suo federalismo fu proprio orientato a restituire alla libera scelta contrattuale una politica altrimenti destinata a nutrire il parassitarismo.

Senza insomma affrancarsi dalla prima parte della Costituzione e senza in particolare rigettare il giacobinismo dell'articolo 5 (che parla dell'Italia come «una e indivisibile»), non c'è modo di affrontare le sfide di un mondo che nel 2014 ha visto gli scozzesi votare sull'indipendenza e nel 2016 i britannici dire goodbye a Bruxelles. O si ricomincia dalla tutela della proprietà e della libertà di contratto (anche in politica), oppure non si va da nessuna parte.

Mentre per l'intellighenzia post-marxista questa riforma è eversiva e per quanti la sostengono, invece, sarebbe un passo nella giusta direzione, è

possibile che agli occhi di Miglio il tutto sarebbe parso una perdita di tempo. Le cui conseguenze riguarderanno assai più il destino dell'attuale premier che non l'assetto di una Repubblica indebitata e vicina al dissesto.

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