Da tempo si sostiene con toni apocalittici che la riforma del premierato indebolirebbe il Parlamento. È una affermazione contestabile, tanto da poter sostenere esattamente l'opposto, senza neppure dover ricordare che oggi le Camere sono semplicemente all'angolo e obbediscono ad un circuito politico che è tutto nella dialettica tra governo, capi e capetti di partito e altri organi, anche dell'Unione europea. I sintomi della malattia sono tanti, dalla Corte costituzionale che ricorda che spetta ai rappresentanti della Nazione e non ai giudici creare le norme (si pensi al caso Cappato e al cosiddetto «ergastolo ostativo») fino al bilancio dello Stato votato sotto dettatura in poche ore durante il governo Conte I con il ricorso dei parlamentari alla Corte costituzionale per conflitto tra i poteri, passando per il tanto citato connubio «decreto legge-questione di fiducia sulla legge di conversione» con il quale ogni esecutivo gestisce la maggioranza; decreto legge che in questi giorni supera il record di uno adottato per ogni settimana.
A darci un indizio che non dobbiamo sottovalutare è la Corte costituzionale che con la recente pronuncia n. 146 del 2024 che è un vero e proprio vademecum sui limiti all'impiego del decreto legge. Un quadro che lascia ben sperare per dopo la riforma costituzionale. Vediamo perché. Il giudice delle leggi da un lato ricorda che l'istituto del decreto legge è certamente caratterizzato da «un largo margine di elasticità», ma anche che vi sono evidenti limiti costituzionali: uno degli elementi sui quali si fondano questi limiti è questo il passaggio chiave e queste le parole della Corte il «modo in cui è ripartito il potere di indirizzo politico tra i diversi organi costituzionali». La Corte ricorda che l'assetto delle fonti del diritto costituisce «una componente essenziale della forma di governo». Il governo, che opera con una maggioranza che lo sostiene, è il «propulsore dell'indirizzo politico» nel continuum tra esecutivo e Parlamento. Cosa, questa, che chi scrive è convinto che accadrà in modo più stabile con l'approvazione della riforma del «premierato all'italiana» ossia quando varrà ancora di più quanto la Corte precisa oggi: questa funzione di «propulsore» del governo «non può giustificare lo svuotamento del ruolo politico e legislativo del Parlamento, che resta la sede della rappresentanza della Nazione, in cui le minoranze politiche possono esprimere e promuovere le loro posizioni in un dibattito trasparente, sotto il controllo dell'opinione pubblica». Sarà più facile dopo la riforma, vista la maggioranza «garantita» al premier eletto, ampliare il sistema di limiti per cui il decreto legge è tendenzialmente illegittimo se in presenza di un intervento riformatore di ampia portata che sia «destinato a incidere sui tratti qualificanti di una disciplina», che lo strumento di urgenza è legittimato solo se occorre «dare risposte normative rapide a situazioni bisognose di essere regolate in modo adatto a fronteggiare le sopravvenute e urgenti necessità» e se non è afflitto da disomogeneità con norme non riconducibili ad una unica trama; ossia che non contenga le cosiddette «norme intruse» che producono una frammentazione di regole e un vulnus per lo stesso Stato di diritto inteso come prevedibilità dell'applicazione delle regole.
C'è dell'altro. Se il premierato dovesse diventare legge costituzionale, sarà ben opportuno che la legge elettorale e la normativa di contorno creino una reale capacità di scelta da parte degli elettori dei parlamentari, cancellando una elezione che ormai è di fatto gestita prima del voto. Gli elettori se sono liberi di scegliere mandano in Parlamento rappresentanti adeguati a costruire un rapporto dialettico con un esecutivo politicamente rafforzato dall'elezione diretta del presidente del Consiglio. Inoltre sarebbe opportuno che, anche alla luce della riduzione del numero dei parlamentari, si introducesse per legge l'incompatibilità tra la carica di ministro e sottosegretario con quella di Parlamentare in modo da rafforzare la dialettica tra i due organi. Oggi troppo spesso i parlamentari che hanno incarichi di governo devono correre in aula per esprimersi su provvedimenti del governo stesso.
Un esecutivo più forte anche perché liberamente scelto dal popolo è così un presupposto utile per
un parlamento altrettanto forte. Come in ogni dinamica istituzionale di compensazione, il sistema rafforzerà per scelta politica e per giurisprudenza costituzionale il nostro Parlamento.*Università degli Studi della Tuscia
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