«Curare i malati a casa» è stato l'imperativo che ci si era imposti dopo il collasso degli ospedali a marzo e aprile. Con la promessa di non vedere mai più la gente arrivare in pronto soccorso con crisi respiratorie. E per un po' la linea ha retto, con unità speciali Usca, isolamenti e terapie a distanza: cure trasferite dagli ospedali al territorio per assistere i positivi senza che si aggravassero e che avessero bisogno di un ricovero.
Ora però anche il sistema della la medicina a domicilio è crollato sotto la portata del numero dei contagi. A catena ha fatto crollare, nelle zone più critiche, il sistema sanitario con un effetto domino inevitabile: troppi infetti al pronto soccorso, troppi ricoverati nei reparti di Malattie infettive e troppi intubati in terapia intensiva. E se fino a qualche settimana fa la parola «collasso» sembrava un'esagerazione degli allarmisti, ora è esattamente il termine che serve a descrivere la situazione di parecchi ospedali, soprattutto in Lombardia e Campania.
In particolar modo l'intoppo è nei pronto soccorso, dove le ambulanze sono costrette a stare in fila per mezz'ora prima di scaricare i pazienti, e nei reparti dove si concentrano i casi dei malati che non sono più in grado di curarsi a casa loro ma che non sono nemmeno così gravi da aver bisogno della terapia intensiva.
Cosa è andato storto? Perchè a un certo punto non è più stata sufficiente la quarantena in casa ma sono aumentati i casi con complicazioni? Ovviamente più è alto il numero dei contagi, più aumenta anche la percentuale dei casi gravi. E più aumenta l'indice di contagio Rt più il contagio dilaga e si rafforza. «I flussi di pazienti sono diventati troppo grandi perchè fossero tenuti sotto controllo - spiega Giovanni Leoni, vicepresidente dei medici Fnomceo - Per di più alcuni bandi per il personale delle unità Usca sono andati deserti e quindi il rapporto domanda e offerta non è più stato proporzionato. La domanda è esplosa e nelle cure a domicilio noi medici non abbiamo ancora un protocollo comune sui farmaci da somministrare ai casi non gravi. Si dibatte ancora sul cortisone sì o cortisone no. Son se riusciamo a dare uniformità alle cure riusciamo a fare in modo che i casi non si aggravino».
Quindi il primo passo per ripristinare il primo filtro anti valanga di ricoveri sarebbe un protocollo terapeutico per l'assistenza a domicilio. E un rafforzamento di chi si occupa a distanza dei pazienti: i medici, anche se non visitano di persona, telefonano e tengono monitorati i sintomi di chi è in isolamento. Quel monitoraggio è fondamentale perchè la malattia non degeneri e non si trasformi in crisi respiratoria.
Anche il secondo filtro vacilla. È quello dei reparti di pneumologia e di Malattie infettive.
Due reparti che hanno vissuto il loro tempi d'oro in fase di tubercolosi e di Aids ma che poi non hanno visto grandi orde di giovani specializzandi, tanto da non riuscire a garantire il turn over in molti ospedali. L'ondata di ora risulta quindi ancora più difficile da gestire. E si riversa dritta dritta verso le terapie intensive. Anche stavolta.
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