La perfetta imperfezione di Federer

Roger Federer era perfetto, ma solo ai nostri occhi, vendendolo giocare a tennis in quella maniera divina

La perfetta imperfezione di Federer
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Era lui l'uomo perfetto, almeno pensavamo che ne esistesse almeno uno. Ma la perfezione in fondo sai che noia, e come diceva Marilyn Monroe «meglio essere ridicoli che noiosi». Roger Federer (nella foto) era perfetto, ma solo ai nostri occhi, vendendolo giocare a tennis in quella maniera divina. E invece dentro lui, come dentro di noi, regna il caos, tanto normale quanto umano, che ci fa capire che il mondo avanza nell'eternità proprio perché tutto può essere imprevedibile. Federer non gioca più: si è laureato, ha detto alle 11mila persone accorse all'Università di Dartmouth in New Hampshire quando gli è stato consegnato il diploma honoris causa in lettere umane. In realtà, ha spiegato agli studenti ammirati, si è laureato in tennis, «perché dire che uno si è ritirato è brutto». Eccola, la debolezza così normale, che Roger poi ha raccontato in 25 minuti di confessione: «Dicevano che vincevo senza sudare e mi dava fastidio: ho lavorato duro. Ho passato anni a lamentarmi, imprecare, a lanciare racchette, prima di imparare a mantenere la calma. Poi, sì, il talento conta, ma senza grinta e coraggio non serve a nulla». Una lezione, la sua. Un motivo in più il nostro, per capire il perché per tanti anni abbiamo gioito, pianto, sofferto attraverso di lui. «Nel tennis la perfezione è impossibile. Ho giocato 1.526 partite nella mia carriera: ne ho vinte quasi l'80%, ma solo il 54% dei punti.

I migliori non sono tali perché vincono ogni punto: è perché sanno che perderanno e hanno imparato ad affrontare la sconfitta». Nel tennis e nella vita insomma perdere è la normalità, vincere invece è Roger: l'imperfezione assoluta. E per questo così meravigliosamente perfetta.

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