Petrocelli tiene in ostaggio il Palazzo. Via alle dimissioni di massa per cacciarlo

Lasciano i senatori dem e renziani. Fdi critica la maggioranza

Petrocelli tiene in ostaggio il Palazzo. Via alle dimissioni di massa per cacciarlo

Sembra senza uscita la strada che porta alla cacciata di Vito Petrocelli dalla presidenza della commissione Esteri del Senato. Un vicolo cieco burocratico, il Palazzo ostaggio del parlamentare filorusso sul quale pende la procedura di espulsione da parte del suo partito, il M5s. E si profila all'orizzonte l'ipotesi delle dimissioni di massa di tutti i membri, con il conseguente scioglimento della commissione. Dopo le dimissioni, spetterà alla Giunta per il regolamento riunirsi per dare un parere formale alla presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati. La giornata, scandita da una riunione dei capigruppo e da una della Giunta per il regolamento di Palazzo Madama, la battezza lo stesso Petrocelli. «Non mi dimetto perché sento di rappresentare la Costituzione. Onorerò gli impegni per la pace e il dialogo internazionale che ho preso con gli elettori nel 2018», il tweet del parlamentare. «La rimozione forzata dalla mia carica sarebbe un segnale tremendo per la democrazia parlamentare», attacca Petrocelli. Il «compagno Petrov» non dà segni di cedimento neppure sul tweet sulla festa della Liberazione, con la Z simbolo dell'invasione russa. «Una provocazione», si giustifica.

Nessuna alternativa all'Aventino di massa. Nella riunione mattutina dei capigruppo è stata sollevata la questione della rimozione di Petrocelli dalla commissione. Una decisione che avrebbe dovuto prendere la presidente dei senatori pentastellati Mariolina Castellone, così da permettere di spostare il parlamentare in un'altra commissione. Ma per Castellone si tratta di «una forzatura del regolamento». A nulla sono serviti i richiami al precedente di Renzo Gubert, senatore centrista dal 1996 al 2006, fatto decadere dalla carica di vicepresidente di commissione perché rimosso e spostato.

A questo punto non resta che la strada delle dimissioni di tutti i membri della commissione. Atto anticipato ieri dai senatori di Pd e Iv. «Ci dimetteremo tutti, stiamo solo ragionando se farlo individualmente oppure se consegnare alla presidente Casellati un documento collettivo in cui mettiamo nero su bianco la nostra volontà di dimetterci», spiega al Giornale un componente della Esteri. Ma c'è chi si è portato avanti, come la vicepresidente della Commissione Laura Garavini di Italia viva, che ha già comunicato al capogruppo Davide Faraone le sue dimissioni. E pure Pierferdinado Casini sarebbe orientato a fare lo stesso. Mentre i grillini dovrebbero non presentarsi ai lavori di oggi, ma ancora non hanno affrontato il tema delle dimissioni di massa. Scenario inedito, perché il precedente di Riccardo Villari del 2009 riguardava la Vigilanza Rai, una bicamerale per cui è previsto lo scioglimento da parte dei presidenti delle Camere, non una commissione permanente.

Intanto dall'opposizione Francesco Zaffini, membro Fdi in Giunta per il regolamento, denuncia: «La maggioranza a parole vuole le dimissioni di Petrocelli, nei fatti corre a garantire il numero e il funzionamento della commissione stessa».

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