Il M5S si «libera» di Vito Petrocelli: il presidente della commissione Esteri del Senato finisce al centro della bufera dopo il tweet di auguri per il 25 aprile e per la Festa della Liberazione, con la Z maiuscola usata dall'esercito russo che ha invaso l'Ucraina. «Per domani buona festa della LiberaZione» -scrive su Twitter Petrocelli, scatenando subito la protesta della rete. Gli utenti chiedono alla piattaforma di bloccare l'account dell'ex grillino. Stavolta il capo dei Cinque stelle Giuseppe Conte non fa sconti: «Vito Petrocelli è fuori dal Movimento 5 stelle. Stiamo completando la procedura di espulsione. Il suo ultimo tweet è semplicemente vergognoso. Il 25 aprile è una ricorrenza seria. Certe provocazioni sono inqualificabili». Si scatena il fuoco: «Gesto inqualificabile» rincara il ministro Federico D'Incà.
Insorge anche il Pd: «Basta con queste continue provocazioni - avverte il capogruppo dem in Commissione Alessandro Alfieri all'Agi - si è passato il segno. È ora che intervenga il presidente del Senato Casellati». Si ribella anche la sua ex collega di partito e vicepresidente del Senato Paola Taverna: «Sinceramente non ho più parole. Quella tua Z offende chi lotta oggi e chi ha lottato ieri. Quella Z offende la libertà, offende i valori su cui si fonda la nostra democrazia, offende chi è morto per la libertà, anche per la tua. Offende te, senatore della Repubblica nata dalla Resistenza». L'uscita di Petrocelli gli costa l'espulsione dal Movimento. Scenario già paventato qualche settimana fa per le sue posizioni filo russe. Petrocelli resta però incollato alla poltrona di presidente della commissione Esteri del Senato. Il conflitto in Ucraina si conferma terreno scivoloso per il Movimento 5stelle. Ieri al congresso di Articolo Uno, che ha rieletto Roberto Speranza segretario, Conte e D'Alema, al netto della stretta di mano, hanno assunto due posizioni diverse sul conflitto. D'Alema difende il governo Draghi. Conte continua a bacchettarlo.
Il leader dei Cinque stelle non si smuove dal suo solido pacifismo: «Non siamo disponibili a una escalation militare, l'unica escalation che vogliamo è quella diplomatica. Non possiamo impegnarci in una forsennata corsa al riarmo o nella via di fornire armamenti sempre più pesanti e offensivi» - attacca nel suo intervento. Per l'ex premier grillino è un errore andare a rimorchio della Nato: «L'Italia non deve cedere alla cultura del rimorchio, dell'andare al rimorchio della Nato. L'Italia deve farsi sentire e lavorare per una svolta positiva, con il ritiro delle truppe russe e il riconoscimento dell'autodeterminazione della popolazione ucraina». Più lucido appare l'intervento dell'ex presidente D'Alema che però non rinnega le sue simpatie per il regime di Pechino: «La Cina ha tenuto una sua posizione. Una politica saggia avrebbe cercato di usare la distanza della posizione cinese, perché cercare di coinvolgerla nel conflitto mi sembra sciocco. Pensare che la democrazia supera la sua crisi mettendo l'elmetto è semplicistico e può essere disastroso per le forze democratiche e di sinistra a cui apparteniamo». «Oggi il dovere della comunità internazionale - rincara D'Alema - è fermare la guerra e l'aggressione, non mi convince lo strano dibattito su chi debba vincere o perdere, fatico a capire cosa possa voler dire vincere una guerra contro una potenza nucleare, ma credo che si debba dire che Putin la guerra l'ha già persa, e l'ha perduta anche per la capacità di resistenza dell'Ucraina, una resistenza che era giusto sostenere. Mi sento di condividere la condotta dell'Europa e del governo di cui facciamo parte». Eccola la presa di distanza da Conte e l'appoggio pieno all'esecutivo guidato da Mario Draghi.
D'Alema pensa che «un negoziato vero non può essere lasciato a Russia e Ucraina, ma per costruire una pace sostenibile, che è dovuta al popolo ucraino e russo, che continua a esserci al di là di Putin, significa offrire anche alla Russia quel quadro di una sicurezza condivisa che non siamo stati capaci di offrire negli ultimi 30 anni». D'Alema offre la sua ricetta. Che però smentisce la tradizione pacifista della platea di Articolo Uno.
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