È passato un anno dal ritrovamento del corpo di Giulia Cecchettin. E quel giorno l'Italia aveva avuto un moto di rabbia che si era tradotto in cortei, fiaccolate e «Mai più». Ma cosa è cambiato in un anno? Quasi nulla. Ancora oggi i femminicidi in Italia sono ancora troppi: più di 80, dicono i dati del Viminale. L'inversione di tendenza non c'è stata, nonostante la fitta campagna di sensibilizzazione.
A fare il punto del «piano» anti violenza è Giulia Bongiorno, presidente della commissione Giustizia in Senato e creatrice, assieme a Michelle Hunziker, della fondazione Doppia Difesa. Cosa serve?
IL DIVIETO DI CREMAZIONE
Entro la fine dell'anno il ddl dovrebbe arrivare in aula, per ora è in commissione Giustizia. Di fatto punta a impedire all'autore indagato del femminicidio - che sia il coniuge, il partner dell'unione civile o un parente stretto - di autorizzare la cremazione del corpo della compagna o della moglie. In questo modo potrebbero essere occultate per sempre prove utili al processo e, spiega la Bongiorno, «si commetterebbe una seconda e profonda ingiustizia nei confronti della vittima post mortem». Il ddl nasce dal fatto che la legislazione attuale, in assenza di testamento, riconosce al coniuge o al parente più prossimo il diritto di decidere sulla cremazione o meno del cadavere.
GIUSTIZIA PIÙ VELOCE
Il Codice Rosso è stato «rafforzato» con l'arresto dell'aggressore in flagranza differita se ci sono video della violenza, con l'inasprimento delle pene, con l'ammonimento e il braccialetto elettronico anche in caso di «reati spia». Ma c'è un'emergenza su tutte: bisogna stringere i tempi dell'intervento dal giorno in cui una donna si presenta a denunciare la sua storia alle forze dell'ordine a quello in cui il pm autorizza misure per tutelarla e affrontare l'emergenza. Se passano più di tre giorni e non accade nulla, il caso passa nelle mani di un altro pm. «E se nemmeno così dovessimo riuscire a gestire i casi più velocemente - sostiene la Bongiorno - allora cercheremo di capire se ci sono delle inerzie. Non possiamo fare altrimenti». L'iter deve essere rapido, il post-denuncia è il momento più delicato, quello in cui la rabbia dell'aggressore o dello stalker può degenerare in omicidio. Ovviamente, presupposto fondamentale perché il meccanismo funzioni, è che ci sia personale in grado di valutare l'effettivo rischio per una donna.
L'ETÀ IMPUTABILE
Il Codice penale fissa l'età imputabile a 14 anni. Ma si potrebbe anche pensare di abbassarla a 12 anni. Il motivo? La violenza, gli omicidi, gli stupri hanno come protagonisti assassini sempre più giovani. Che sparano, accoltellano, gettano dal balcone, picchiano in età da scuola media. «A contribuire a questa aggressività straordinaria sono anche i social - sostiene Bongiorno - A educare i giovani devono essere genitori prima e scuola poi. Solo dopo il tema diventa giuridico».
LO STIPENDIO ANTI VIOLENZA
Molte donne sopportano botte, lividi e maltrattamenti del compagno. Sanno che non se ne possono andare di casa. Lui le mantiene. Loro sono casalinghe, si occupano dei parenti anziani e dei figli minori, badano alla casa. Ma non guadagnano. «Come faccio a mantenermi se me ne vado?» dicono alle volontarie che cercano di supportarle. Da qui il progetto per uno stipendio anti violenza, che affranchi le vittime dalla dipendenza economica.
Doppia difesa ha chiuso un accordo con il Consiglio nazionale dell'Ordine dei consulenti del lavoro e Fondazione lavoro per organizzare corsi di formazione e aiutare le donne, anche quelle meno giovani, a trovare un'occupazione. A essere indipendenti e libere di scegliere.
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