Lo spauracchio cinese ha un nome perfettamente italiano, Ferretti Group, e vuole fare un investimento nel porto di Taranto. Si parla della realizzazione di un polo produttivo per la costruzione di scafi e sovrastrutture in vetroresina e carbonio e di un centro di ricerca impegnato nello studio di modelli e stampi. Il tutto nell'area «ex Belleli» dello scalo pugliese, dove negli anni '80 e '90 si costruivano piattaforme petrolifere off shore. Dalle infrastrutture per la ricerca di petrolio agli yacht di lusso - core business della Ferretti - il passo potrebbe essere breve. Con lo zampino del Dragone. La società, fondata a Bologna nel 1968 dai fratelli Alessandro e Norberto Ferretti, dal 2012 è partecipata dai cinesi della Weichai Group. Il gruppo, di proprietà statale, ora possiede l'86% delle azioni della Ferretti dopo averla salvata dal baratro del fallimento otto anni fa. Ma la multinazionale della cantieristica navale è ancora in cattive acque finanziarie. E l'anno scorso ha rinunciato alla quotazione a Piazza Affari.
La stessa società cinese che ha manifestato l'interesse per il varo di un insediamento produttivo nell'ambito della cantieristica nautica. Anche se al momento non si conoscono i dettagli del progetto. Lo sbarco della Ferretti Made in China è stato sponsorizzato meno di un mese fa da un grillino di rango, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega alla Programmazione economica e agli Investimenti, il tarantino Mario Turco. «L'insediamento del gruppo Ferretti a Taranto sarebbe per il territorio una grande opportunità di sviluppo e di riconversione economica per il nostro tessuto imprenditoriale - ha detto il 7 aprile scorso Turco - l'iniziativa è un altro tassello della Presidenza del Consiglio e del Governo per il progetto del cosiddetto Cantiere Taranto». Da Forza Italia il deputato Mauro D'Attis, commissario pugliese degli azzurri, annuncia battaglia in Aula. Parla di «grandi manovre» da parte di Pechino «per mettere le mani sul porto ionico con grandi investimenti». E annuncia: «presenteremo un'interrogazione parlamentare». A Il Giornale D'Attis aggiunge: «Vogliamo capire perché il governo sta puntando così tanto su questa cosa, anche alla luce della nostra collocazione atlantica sul piano internazionale e della presenza di una base Nato strategica nella città di Taranto». Turco, contattato dal Giornale, non ha rilasciato dichiarazioni.
E a preoccupare c'è anche un altro episodio, verificatosi durante questi giorni di emergenza Coronavirus. Il colosso statale cinese CCCC (China Communication Construction Company) ha donato tra marzo e aprile in totale 4mila mascherine all'autorità portuale di Taranto.
Il gruppo pubblico di Pechino, leader nel settore delle costruzioni, ha fatto la stessa operazione con il porto di Trieste, ai cui lavoratori ha consegnato 10mila mascherine il 21 marzo. La stessa CCCC l'anno scorso ha firmato un' intesa con lo scalo triestino e un'altra con il porto di Genova, entrambe rientranti nell'accordo sulla Via della Seta firmato dal governo gialloverde a marzo del 2019.
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