
Qualsiasi accordo finale «dovrà coinvolgere la Russia, ma non possiamo accettarne uno debole come quello di Minsk che Mosca ha potuto violare facilmente, dev'essere sostenuto dalla forza». Al termine dei colloqui a Londra, dove ieri si è tenuto l'atteso vertice con i Paesi europei allargato al Canada (alleato Nato) e alla Turchia (che si candida a potenziale mediatore), il premier britannico, Keir Starmer, traccia per sommi capi quella che, per la seconda potenza nucleare europea, è la strada da seguire per uscire dall'impasse seguita al durissimo scontro verbale andato in scena venerdì alla Casa Bianca tra il presidente americano e quello gialloblù. «Siamo d'accordo con Trump sull'urgente necessità di una pace duratura, ora dobbiamo raggiungere i nostri obiettivi insieme», spiega Starmer. E insieme, vuol dire con Zelensky al tavolo, ieri tra baci e abbracci: «Ognuno di noi sarà al fianco dell'Ucraina per tutto il tempo necessario», ad eccezione di Ungheria e Slovacchia, non a caso, ieri non invitati. E mentre Francia e Gran Bretagna hanno proposto una tregua di un mese in Ucraina, i presenti tornano però a dividersi sul da farsi. Anche nettamente, su certi punti. Anche perché l'impostazione della Perfida Albione, concretizzata ieri da Starmer anche con un bilaterale col presidente francese Macron, è quella di lavorare su un doppio binario, mantenendo una certa ambiguità strategica. Da un lato Starmer annuncia il Sì di Londra e Parigi (con aperture al piano franco-britannico anche dal premier canadese Trudeau) per dar vita a «una coalizione di volenterosi» che faccia rispettare eventuali accordi di pace. Regno Unito pronto a un ruolo guida, «chi lo desidera» intensificherà la pianificazione, è il chiarimento del premier dopo i sopraccigli alzati al tavolo della Lancaster House. Dall'altro, Starmer ammette che non tutte le nazioni si sentiranno in grado di dare il loro contributo, ma «non significa che dovremo restare a guardare». Ieri si è realmente concordato solo di continuare a fornire aiuti militari, tentando di aumentare la «pressione economica sulla Russia con le sanzioni». L'Ue sta già preparando il 17° «treno».
Il premier polacco Tusk invita al realismo senza accelerazioni, optando piuttosto per il «sostegno alla proposta della premier italiana Meloni per un vertice Ue-Usa». In serata, avendo compreso d'esser finito in minoranza col padrone di casa, pure il presidente francese prova a tirare Roma per la giacchetta. In un'intervista al Foglio, Macron la mette così: su Kiev, «stiamo cercando di muovere le cose, abbiamo bisogno dell'Italia forte, nel concerto delle grandi nazioni, è necessario che sia al nostro fianco sulla scia di quanto fece Draghi». Ma per ora l'idea di fornire uomini e mezzi «assieme ad altri» non decolla. Niente contingenti, truppe di terra, aerei in cielo, visto che non si può contare ancora su uno «scudo» americano e tanto meno dell'Onu.Macron sottolinea però l'emergere di «un consenso» sulla costruzione di «una difesa europea». E Starmer su un punto mette tutti d'accordo: la Russia «non può dettare i termini della pace, gli Usa sono indispensabili per un piano, ma Kiev deve poter negoziare da una posizione di forza». Londra annuncia quindi 1,7 miliardi di sterline (circa 2 miliardi di euro) per la difesa aerea e 5 mila missili per proteggere le infrastrutture critiche. La presidente della Commissione Ue, Von der Leyen, presente, inneggia al «riarmo urgente» del Vecchio Continente nella speranza che gli europei lavorino per «trasformare l'Ucraina in un porcospino d'acciaio, indigesto per i potenziali invasori».
Per il segretario generale Nato, Rutte, «l'Europa deve dare di più». L'impegno comune c'è: pronti ad alzare la percentuale del Pil. Non c'è unità invece sul sequestro dei beni russi, rivela Tusk: buona idea, ma alcuni «temono conseguenze per l'euro o per il sistema bancario».
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