Il piano: più risorse ai Comuni e una tassa unica

RomaQuel che nelle segrete stanze riecheggia e si sussurra, ma che il premier Matteo Renzi si guarda bene dal pronunciare - se non con l' entourage di stretta osservanza - è una formula dai contorni che non mancano d'inquietare. Una formuletta condensata in due parole che non portano certo fortuna, come ben sa una lunga lista di predecessori. «E ora, fase due ».

Rasa al suolo la minoranza interna, ridotto l'ex amico Pippo Civati ad ebreo errante e vox clamans in deserto , con Beppe Grillo sempre più attore di se stesso, il ruolo «attivo» assegnato all'opposizione berlusconiana e il ricorso alle urne anticipate ormai derubricato, Renzi pensa appunto al «nuovo inizio» del governo come a una consacrazione definitiva davanti ai partner europei. «Nessuno ci ferma più», è il motto dei momenti euforici (tipo l'altra notte, a fiducia sul Jobs act finalmente ottenuta) che fa dell'ottimismo moneta sonante. Il premier non ne fa mistero, così anche ieri nel Bolognese ha parlato dell'Italia che «torna a fare il suo mestiere, quello di leader mondiale», perché «non voglio fare la fine della Grecia, voglio fare meglio della Germania». Il premier continua a «praticare l'ottimismo - rivendica - non come scelta a casaccio ma come assoluta convinzione che questo Paese, se smette di fare polemiche, di litigare e ascoltare tutti quelli che dicono che non ce la faremo mai, è tranquillamente in condizioni di farcela».

Alibi ormai non ce ne sono più molti, Renzi lo sa. Tanto da ammettere che «se non riuscissimo a rimuovere gli ostacoli sarà colpa nostra». Rimuovere gli ostacoli, una parola. Per ora incombe la legge di Stabilità, di cui alcuni dettagli sono stati definiti in mattinata al telefono con il ministro Pier Carlo Padoan, il presidente Anci Piero Fassino e quello della Conferenza Stato-Regioni, Sergio Chiamparino. «Ci sarà una misura di riduzione del costo del lavoro per le imprese - annuncia - e un principio di fondo, quello che ci sia un'unica tassa comunale». Non saranno aumentate le tasse e, dice il premier, «se riusciremo a eliminare il patto di Stabilità interno, regola che farebbe arrabbiare anche i santi, daremo il 75% in più di risorse». È allo studio anche l'esclusione di una parte dei cofinanziamenti europei per gli investimenti dal calcolo del deficit. Molto sarà incentrato sul rilancio del lavoro («Come sempre, io la penso come il presidente della Repubblica: c'è ancora molto da fare»), e dunque «c'è da sistemare la delega fiscale, e poi da dare una bella scossa alla riforma della Pubblica amministrazione».

Il premier si prefigge una ricucitura con il mondo dei lavoratori (anche ieri non sono mancate contestazioni, di Fiom e grillini, che hanno fatto perdere la pazienza a Renzi: «Fateci parlare, noi non veniamo a darvi noia al Circo Massimo»). Il premier ha rivelato di sentire telefonicamente il leader della Fiom, Maurizio Landini, «tutti i giorni... e comunque incontrerò anche loro».

Ennesimo buffetto sulle gote dell'odiosa Camusso, leader della Cgil che Renzi ormai la notte sogna spodestata proprio da Landini.

Dulcis in fundo: i diritti civili, tema finora lacunoso per il governo: «Sulle unioni gay faremo una legge, non è una battuta ma la verità». Tanto per non farsi mancare un annuncio. Non di certo l'ultimo.

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