Due simboli da colpire, due modi per rivendicare la propria identità: il primo è piazza del Duomo, l'icona della città sia cattolica che laica, luogo di scambi e di cultura, di cui i ragazzi calati dalla banlieu si impadroniscono; il secondo bersaglio sono le ragazze, quelle che hanno la colpa di girare da sole, a capo scoperto, di voler vivere la città senza rendere conto a nessuno, e che vengono per questo inseguite e fatte prede. Nel linguaggio delle centinaia di immigrati di seconda generazione protagonisti della notte di Capodanno, i due bersagli fanno parte della stessa ansia di rivalsa. E non è un caso che si tratti di un copione già visto.
Capodanno di tre anni fa, davanti alla Cattedrale va in scena quello che il ministro degli Interni Luciana Lamorgese descriverà come un «attacco prestabilito», con le bande calate dalla periferia che conquistano la piazza e si scatenano nella caccia alle ragazze. Le circondano, le spogliano, le stuprano. É una notte di incubo, che si svolge quasi sotto gli occhi dei reparti di polizia mandati a presidiare la piazza. «Mi sono avvicinata pensando ci fosse una rissa - racconterà una testimone al processo - ho iniziato a girare le immagini pensando ci fosse una rissa, poi ho visto la ragazza per terra, le avevano tolto tutti i vestiti e abusavano di lei».
Respinti dalla città, respinti dalle ragazze, nella notte di Capodanno trovano la loro riscossa. L'esempio è venuto da nord, dal 2016 di Colonia, quando dal capoluogo della Renania arrivano immagini e racconti brutali sulla «caccia alla ragazza» scatenata a San Silvestro, cinquecento donne aggredite e violentate una dopo l'altra, e quando la polizia cerca di intervenire partono le molotov: anche lì, evidentemente, era tutto pianificato. I numeri sono tali che la notte di Colonia diventa un caso politico internazionale, se ne occupa l'Europa, il vicepresidente Timmermans dice che «se chi riceve protezione internazionale non rispetta le leggi, è giusto che perda il diritto alla protezione», «si deve capire come nell'Unione vogliamo che si trattino le donne». Ma poi non cambia niente, le periferie restano lì con la loro rabbia irrisolta. E appena possono si vendicano.
Vale in Europa, vale nella città più europea d'Italia. Piazza del Duomo si presta bene, i portici sono quinte da teatro, il sagrato è il palco di cui impadronirsi, come ben sapevano i trecento che nel 2009 alla fine di un corteo pro-Palestina l'avevano trasformata in una moschea a cielo aperto, e insieme alla preghiera era impossibile non vederci il gesto di sfida. Nei giorni scorsi i video dei ragazzi arrampicati sulla statua a Vittorio Emanuele, con gli insulti agli italiani e ai poliziotti, fanno il giro e fanno discutere, c'è chi si scandalizza, chi dice che in fondo sono solo schiamazzi. Ma ora arrivano i racconti delle studentesse belghe a dire che no, non era la bisboccia innocua di un allegra combriccola.
Il copione si ripete. Sono gli stessi che hanno trasformato in notti di vandalismo il dolore per la morte di Ramy Elgaml, il ragazzo del Corvetto volato dallo scooter mentre scappava ai carabinieri.
Ma lì almeno a innescare la rabbia c'era un fatto concreto, c'era la macchia di sangue lasciata sull'asfalto dal loro coetaneo. Qui c'è solo l'orgoglio rabbioso di chi si sente respinto, e che vuole dire a tutti che almeno stanotte a comandare è lui.
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