Pisapia smaschera il Pd sul governo delle manette

Il giurista ed eurodeputato dem contro lo stop alla prescrizione: «Scempio». Il vertice coi grillini slitta al 9

Pisapia smaschera il Pd sul governo delle manette

Adesso sotto processo finisce Giuliano Pisapia. La colpa dell'euro deputato del Pd: avere denunciato come uno «scempio» la legge sulla prescrizione, che il suo partito ha lasciato entrare in vigore senza battere ciglio dopo averla fieramente avversata quando era all'opposizione. Pisapia indica nella vicenda della prescrizione il simbolo più chiaro della subalternità piddina agli alleati grillini. E per questo viene apertamente contestato: «Bisogna far cadere il governo con i 5 stelle sulla prescrizione? Io non sono assolutamente d'accordo», scrive ieri David Gentili, presidente della commissione giustizia del Comune di Milano.

Il problema è che dentro al Pd a pensarla come Gentili sono in tanti, per un motivo o per l'altro. C'è chi crede davvero, come Gentili, che cancellare la prescrizione sia un gesto di civiltà: è l'ala filo-giudici, quella che si riconosce in personaggi come Gian Carlo Caselli o Pietro Grasso, e più in generale nella via giudiziaria alla guida del paese. E c'è chi invece sa benissimo che quella entrata in vigore a Capodanno è una legge brutta e incostituzionale, le cui conseguenze saranno pagate sia dagli imputati sia dalle vittime. Ma è disposto a ingoiare il rospo pur di non rischiare la caduta del governo, di nuove elezioni e di un trionfo leghista.

Ma intanto Pisapia, parlando sia come politico che come avvocato, ha tolto la maschera al governo Conte 2: un governo, dice nell'intervista a Repubblica che ha sollevato il caso, in cui non c'è traccia di discontinuità con il governo Conte 1, salvo i rapporti con l'Europa e «molte facce nuove». Il Pd, insomma, sta subendo la continuità grillina che ha fatto del Conte bis un governo ad alto tasso di giustizialismo. Un governo che nel diluvio di critiche di giuristi in questi giorni viene definito persino un «governo delle manette».

Che il Pd sia deciso a impuntarsi sul tema della prescrizione non lo crede ormai nessuno: men che meno i Cinque Stelle, che non hanno neppure ritenuta degna di polemica la proposta di legge piddina che riporterebbe la prescrizione alla normativa precedente. Per i grillini la partita è chiusa con la entrata in vigore della legge che porta il nome del loro ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede. Il quale dopo aver celebrato la vittoria dovrebbe ora presentare il piano di riforme (ambiziosamente definito «nuovo processo penale») destinato ad accelerare i tempi della giustizia. Ma di questo piano, più volte annunciato come imminente, non si vede traccia. E intanto una delle misure promesse dal ministro, ovvero la copertura dei buchi di organico della magistratura, è ferma al palo perché il governo non trova i soldi per assumere le centinaia di nuovi magistrati che hanno già superato il concorso.

La prescrizione, insomma, è di fatto sparita dal nostro ordinamento senza alcuna contromisura che ne attutisse gli effetti. Fine delle trasmissioni, a meno che a riaprire i giochi non arrivi la convergenza di una parte della maggioranza, ovvero Italia viva, sulla proposta di legge Costa, con cui l'opposizione chiede di azzerare la riforma. O che faccia breccia in altri settori della maggioranza il grido di dolore che oggi a Montecitorio lanceranno cinque personaggi con storie diverse ma uniti dal dissenso profondo verso la legge Bonafede: Emma Bonino, Carlo Calenda, Stefano Parisi, Giulia Crivellini e Benedetto Dalla Vedova.

L'unico segnale che per il momento possa fare ipotizzare che qualcosa si muove nella subalternità governativa del Pd è l'annuncio, arrivato ieri sera, del rinvio del vertice di maggioranza previsto per questa mattina.

Ma è un po' poco.

Anche perché tra pochi giorni Pd e 5 Stelle si preparano a accompagnare con proclami di unità e coesione il voto a favore dell'autorizzazione a procedere contro Matteo Salvini per il caso della nave Gregoretti.

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