La terapia del plasma iperimmune entra anche nelle case di risposo. Proprio là dove nei mesi scorsi si è verificato il 40% dei contagi e dove, dall'inizio di febbraio alla metà di aprile, l'epidemia ha causato 6.773 decessi.
Nelle strutture per gli anziani l'emergenza è più silenziosa ma non affatto conclusa. Per questo l'azienda ospedaliera di Mantova, una delle protagoniste della sperimentazione, ha deciso di elaborare un protocollo ad hoc. Lo studio, messo a punto dal direttore di Immunoematologia e Medicina trasfusionale Massimo Franchini e dal direttore della Pneumologia Giuseppe De Donno, è stato ideato in collaborazione con i colleghi del Policlinico San Matteo di Pavia.
In una prima fase pilota, è prevista la collaborazione con la Rsa Green Park del Gruppo Mantova Salus. Ai pazienti sarà garantito un monitoraggio continuo della sicurezza e dell'efficacia del trattamento con controlli sul piano clinico e in laboratorio ogni 48 ore da parte degli specialisti dell'ospedale di Mantova Carlo Poma.
Il progetto coinvolgerà via via le residenze sanitarie assistenziali e le aziende di servizi alla persona di Mantova e provincia, ma potrà essere esteso anche ad altre realtà lombarde, compatibilmente con la disponibilità di plasma da donatori guariti. «Utilizziamo un prodotto - commenta Massimo Franchini che ha già dimostrato la sua efficacia su una categoria di pazienti fragili, tristemente decimata dal Covid. «Con questo nuovo protocollo - aggiunge lo pneumologo Giuseppe de Donno - speriamo di poter portare un contributo essenziale a una situazione che ad oggi presenta ancora aspetti di drammaticità».
Ieri i due medici si sono anche confrontati con il presidente Avis Gianpietro Briola per capire come strutturare la banca dei donatori di plasma, passo fondamentale perché la terapia sia efficace su larga scala. Sarà infatti l'associazione dei donatori di sangue a gestire la raccolta delle dosi e a selezionare il plasma con la quantità sufficiente di anticorpi da quello da scartare. Non è sufficiente che il donatore guarito abbia sviluppato anticorpi tout court: devono essere anticorpi neutralizzanti. Poi ci vuole un laboratorio in grado di titolare gli anticorpi e di vederne la qualità. «Speriamo che il plasma iperimmune possa essere impiegato per la produzione di immunoglobuline - spiega Briola - e possa rappresentare una vera svolta nella cura del Coronavirus».
Sono ancora parecchi i dubbi sulla terapia che, in attesa di un vaccino, potrebbe tamponare la diffusione del virus. Molta cautela sul suo funzionamento. «La terapia al plasma non è il futuro nella lotta contro il nuovo coronavirus - direttore sanitario dello Spallanzani, Francesco Vaia - È una terapia che stiamo sperimentando, ma non è la soluzione. La parola fine è il vaccino, che è un atto di prevenzione. Siamo in una fase sperimentale e non sono grandi numeri: ad oggi noi dello Spallanzani abbiamo fatto ricorso alla terapia al plasma in un solo caso: con un bambino ricoverato all'ospedale Bambino Gesù».
Sul suo profilo Facebook il biologo Enrico Bucci, ricercatore in Biochimica e Biologia molecolare e professore alla Temple University di Philadelphia, riporta le considerazioni della comunità scientifica pubblicate su Cochrane Library, il sito che si dedica alla valutazione indipendente dell'efficacia e della sicurezza degli interventi sanitari.
«Siamo molto incerti sul fatto che il plasma di convalescenti sia efficace per pazienti ricoverati in ospedale con Covid-19 - spiegano gli autori - poiché gli studi rendendo difficile fare paragoni e trarre conclusioni. La maggior parte degli studi è servita a definire il rischio dell'intervento terapeutico» e su questo fronte «sono stati riportati 2 eventi avversi, uno dei quali serio».
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