Il plebiscito in aula per Mattarella: con 759 voti diventa il nuovo re della Repubblica

Al capo dello Stato 100 voti in più rispetto alla prima volta, sette anni fa. Il pressing della politica col crescendo dei voti. Giovedì il giuramento

Il plebiscito in aula per Mattarella: con 759 voti diventa il nuovo re della Repubblica

Roma. Insomma, dopo tanto e vorticoso girare a vuoto siamo tornati alla casella di partenza, Mattarella Sergio dopo Sergio Mattarella, l'arma finale, il gioco di prestigio, la scelta rassicurante, la soluzione di emergenza per un sistema bloccato, in panne, allo sbando. Alla Camera, ottavo scrutinio, nove di sera, è una valanga, 759 voti per il presidente uscente che poi non è uscito, cento in più dei 665 della prima volta sette anni fa quando fu eletto dal solo centrosinistra. Applausi, sollievo, persino qualche lacrima in aula. Letta batte cinque, Salvini fa la V di Churchill, Di Maio abbraccia Rosato. Ora stop ai lavori di arredamento nella casa dietro la Salaria e via al secondo mandato, pieno perché gli incarichi a tempo non sono previsti dalla Costituzione, dunque altri sette anni, almeno in partenza. La Repubblica ha il suo re, la maggioranza si ritrova, il governo può continuare, anche se l'onda lunga di rancori e liti di questa settimana sta per raggiungere Palazzo Chigi. «Serve la fase due», dice Giancarlo Giorgetti. E Matteo Salvini: «Rimpasto? Ne parleremo con Draghi da lunedì».

Adesso esultano in molti, è una gara a mettere il cappello sopra, pure Conte ci prova. Eppure fino a poche ore fa sembrava una corrida. La svolta dopo il via libera di Silvio Berlusconi, con il sì della Lega decisivo per chiudere l'accordo al termine di una settimana convulsa e rissosa e dell'ennesima notte dei lunghi coltelli, quando l'asse Salvini-Conte-Meloni si era impuntato su Elisabetta Belloni rischiando di far saltare tutto. Poi un vertice di maggioranza e la caduta progressiva e inesorabile di una schiera infinita di papabili ha portato quasi naturalmente, per inerzia, verso l'unica strada praticabile, l'exit strategy che salva la faccia e le ambizioni di tutti. Draghi può aspirare più avanti. Pure della Meloni, che è rimasta solitaria all'opposizione, è contenta ma vede più lontano l'incasso delle elezioni anticipate. «Salvini propone il bis di Mattarella? Non ci credo». Ma è così e ora, spiega il leader del Carroccio, «occorre riflettere sul centrodestra».

E una volta trovata l'intesa, c'era il problema di convincere il presidente, già sul punto di traslocare, già pubblicamente indisponibile a restare, a tornare sui suoi passi. Ci sono riusciti con due mosse. Facendo lievitare scrutinio dopo scrutinio i voti per lui, i «santini» nelle insalatiere, quasi un appello disperato della classe politica sull'orlo del burrone. E presentandosi al Quirinale in formazione allargata: segretari di partito, leader, grandi nemici dal Pd alla Lega, da M5s a Forza Italia a Iv, persino i rappresentanti dei piccoli gruppi e i presidenti di Regione. Mattarella ha accolto le delegazioni, ha ascoltato la supplica, ha constatato che la richiesta proveniva dalla stessa compagine che sostiene il governo di unità nazionale, e come previsto al dunque ha accettato. «Sono pronto».

Fondamentali pure le mediazioni delle ultime ore e gli incontri con gli altri potenziali quirinabili. Pier Ferdinando Casini, che si è detto felice per la soluzione, «la migliore per l'Italia». Giuliano Amato, neo presidente della Consulta, che durante il giuramento del giudice costituzionale Filippo Patroni Griffi lo ha spinto ad accettare il reincarico per spirito di servizio. Ma soprattutto Mario Draghi, che si è occupato del negoziato tra il capo dello Stato e le forze parlamentari e che è rimasto a parlare con lui al termine della cerimonia. Entrambi rimarranno, hanno concluso, «per il bene e la stabilità del Paese». La pandemia da fronteggiare, la ripresa economica da consolidare, i miliardi del Recovery da incassare e spendere, la crisi Ucraina, le tariffe, il lavoro. L'elenco è lungo e serve continuità, come sottolineano le prime reazioni assai sollevate di alleati internazionali e partner europei.

Alle 21,30, completati lo spoglio e la lettura ufficiale dei risultati, Roberto Fico ed Elisabetta

Casellati salgono sul Colle per la proclamazione. Cancellata la cerimonia di addio di giovedì 3 febbraio, al suo posto il primo discorso ufficiale del nuovo vecchio presidente: anche lui come Napolitano strapazzerà il Parlamento?

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