Il pm condannato per i trucchi sull'Eni indaga ancora sugli stessi reati

De Pasquale ha occultato le prove, ma continua a occuparsi di presunte corruzioni

Il pm condannato per i trucchi sull'Eni indaga ancora sugli stessi reati
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Ha mantenuto il lavoro, ha mantenuto l'ufficio megagalattico, ha mantenuto persino la possibilità di indagare sugli stessi argomenti di cui si è occupato per anni. Fabio De Pasquale, il magistrato che il ministro Carlo Nordio ha indicato come uno dei simboli della «perdita di credibilità» della Procura di Milano, ha ancora l'ufficio da procuratore aggiunto, venti metri di stanza davanti a quella del capo Marcello Viola. Nonostante la condanna a otto mesi per avere occultato le prove utili alla difesa nel corso del processo Eni, continua a fare parte del pool che si occupa di corruzioni internazionali. E in quella veste, come hanno rilevato con un certo stupore i giudici bresciani che lo hanno condannato, ha continuato a essere titolare di una inchiesta che ha alla sua base il teorema della tangente Eni. Solo recentemente, dopo che la circostanza era emersa, De Pasquale sarebbe stato esonerato. È l'indagine su tale Aliyu Abubakar, faccendiere nigeriano accusato di avere distribuito 500 milioni provenienti dalla tangente Eni. Ma, rimarca la sentenza a carico di De Pasquale, si tratta di «circostanza nel frattempo ritenuta infondata da due sentenze passate in giudicato».

Come è possibile che dopo la condanna per rifiuto di atti d'ufficio De Pasquale sia ancora al suo posto? Di fatto, l'unica conseguenza che sul piano professionale il magistrato milanese ha subito per la sua gestione del processo Eni è stato il declassamento (a parità di stipendio) da procuratore aggiunto a semplice pubblico ministero, decisa dal Csm. Quando la storia delle prove nascoste durante il processo è saltata fuori, contro De Pasquale è partito un procedimento disciplinare, che però è stato sospeso in attesa della sentenza: non quella di primo grado, emessa in ottobre, ma quella definitiva, che arriverà chissà quando. É un trattamento che non sempre il Csm riserva alle toghe nei guai: Luca Palamara, per esempio, venne radiato ben prima che i processi arrivassero a compimento. E a De Pasquale è stata risparmiata anche la sospensione cautelare dalle funzioni, che la Procura generale della Cassazione avrebbe potuto chiedere nei suoi confronti.

Non è tutto. Altri magistrati finiti sotto tiro vengono trasferiti d'urgenza dal Csm con la motivazione della «incompatibilità» con l'ufficio dove lavorano o con le funzioni che svolgono: è il caso di Alfredo Robledo, che era anche lui procuratore aggiunto a Milano, e che il Csm spedì senza tanti complimenti a Torino a fare il giudice civile. Ma nei confronti di De Pasquale il procedimento di incompatibilità non è scattato in attesa della sorte del procedimento disciplinare che a sua volta aspetta la conclusione definitiva di quello penale. Una sorta di cane che si morde la coda. L'unico rischio concreto per De Pasquale è a questo punto quello che il pg della Cassazione chieda al Consiglio superiore di mandarlo provvisoriamente a fare un altro lavoro.

Se questo non accadrà, bisognerà aspettare la sentenza definitiva del processo contro di lui. Ma tra due anni e mezzo De Pasquale va in pensione.

E così è possibile che possa restare al suo posto fino all'ultimo giorno di lavoro, evitando l'onta della rimozione: nonostante si tratti di un magistrato che lo stesso Csm ha ritenuto colpevole non solo della gestione del caso Eni ma di una interpretazione complessiva del suo ruolo priva «dei requisiti della imparzialità e dell'equilibrio, avendo reiteratamente esercitato la giurisdizione in modo non obiettivo né equo rispetto alle parti, senza senso della misura e senza moderazione».

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