Più si avvicina il 31 dicembre, appuntamento cruciale nel crono-programma del Pnrr, e più si fa stretta la strada indicata da Giorgia Meloni di evitare fronti conflittuali con Mario Draghi. Sul Recovery, infatti, la convinzione di Palazzo Chigi e del ministro degli Affari europei Raffaele Fitto (che ha la delega anche sulle politiche di coesione e sul Pnrr) è che ci sia un ritardo strutturale dovuto a diversi fattori. Non solo al fatto che il Piano è nato con l'obiettivo di far fronte a una pandemia e ha poi trovato effettiva attuazione durante una guerra e con il costo delle materie prime che è improvvisamente salito alle stelle, ma anche a una governance del Recovery considerata troppo complessa e burocratica. Non ci sono, infatti, solo le tre strutture principali di coordinamento del Pnrr (due presso Palazzo Chigi e una presso il Mef), ma anche le singole unità di missione di ogni ministero di spesa. Tutte strutture nominate dal precedente governo e che - secondo la legge voluta da Draghi, che ha escluso questi uffici dalla regola dello spoil system - sarebbero di fatto inamovibili fino al 2026.
In questi due mesi, però, l'idea che si sono fatti a Palazzo Chigi è che il sistema sia troppo decentrato, con molti degli uffici dedicati al Pnrr che non si occupano in prima battuta della messa a terra dei progetti. E con la cabina di regia dei ministri che durante l'esecutivo guidato da Draghi fu convocata solo due volte. Di qui, la convinzione che sia necessario poter rimettere mano alle strutture in questione. Non necessariamente per azzerare tutto - anche perché si rischia l'effetto boomerang, bloccando di colpo quello che è un treno ormai in corsa - ma anche come strumento di pressione.
L'idea è quella di inserire nel decreto sul Pnrr (da approvare al più tardi a fine gennaio) una norma che permetta di intervenire sulle strutture che si occupano del Recovery - le tre principali e soprattutto le unità di missione dei singoli ministeri - cambiando il personale e rafforzando i poteri di supplenza del governo verso tutte le amministrazioni in ritardo sul tabellino di marcia. Una modifica della governance del Pnrr che sarebbe indispensabile per sbloccare l'impasse di questi mesi.
E che sul fronte Recovery si debba «spingere» sull'acceleratore, è convinzione anche di Paolo Gentiloni. Che ieri, intervistato a In mezz'ora, ha cercato di tendere la mano al governo italiano. Il Commissario europeo agli Affari economici, infatti, racconta di aver parlato più volte con Meloni del Pnrr («so che è il suo assillo maggiore») e si dice «fiducioso» che l'Italia «rispetterà i tempi». «Fino a qui - aggiunge - non ci sono stati ritardi. Il governo Draghi ha rispettato gli obiettivi e Meloni ha confermato di voler seguire la tabella di marcia. So benissimo quanto è complicato. Ma cerchiamo di vedere il Recovery non come una grana ma come una strepitosa occasione per il Paese. Infine, il commissario Ue non chiude all'ipotesi di modifiche al Pnrr durante il primo trimestre del prossimo anno. «A Bruxelles le porte sono aperte. Riceveremo tra gennaio e marzo gli emendamenti ai singoli Piani da molti paesi.
E - spiega - siamo disponibili a due condizioni: il cambiamento deve essere giustificato e deve riguardare gli investimenti, ma non le riforme che sono un impegno che dipende da una volontà politica e non da circostanze oggettive».
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