Chiese sempre più vuote, sempre meno fedeli che fanno la comunione. A lanciare la preoccupazione è monsignor Mario Delpini, arcivescovo di Milano, nella celebrazione che apre l'anno pastorale. «Un sintomo preoccupante - ha sottolineato - è la consuetudine di abbandonare la celebrazione del segno che Gesù ha indicato perché si celebri il memoriale della sua opera di salvezza, cioè l'eucaristia. La Messa sembra ridotta a una cerimonia che può piacere o annoiare. Molti dichiarano che non hanno bisogno di partecipare alla celebrazione della Pasqua di Gesù per essere brava gente e per fare tanto bene».
Una preoccupazione condivisa anche da altri vescovi. «Ha ragione l'arcivescovo di Milano. È un dato ormai molto sensibile sottolinea al Giornale monsignor Antonio Suetta, vescovo di Sanremo -. Tutto dipende da una scristianizzazione pervasiva che colpisce la nostra società, molti battezzati non hanno più l'alfabeto della fede che si nutre e si esprime attraverso la liturgia. A chi è vittima di tale scristianizzazione riesce ancor più difficile comprendere i segni della liturgia che però nell'esperienza cristiana sono fondamentali. Dobbiamo condurre per mano, con pazienza, i fedeli nell'esperienza esistenziale dei misteri della salvezza, in modo particolare nella liturgia».
Puntare sulla qualità e dare una alternativa, soprattutto ai giovani, di valori, di fede profonda. Questa è la ricetta proposta da monsignor Nazzareno Marconi, vescovo di Macerata e biblista. «È vero che la pandemia ha accentuato una crisi di partecipazione alla messa, un calo già in atto. Tanti immaginavano che, finito il Covid, questo crollo avrebbe poi portato a un rimbalzo. Non è stato così, ma c'è da dire che chi adesso viene a messa è più convinto e motivato, sceglie di venire. E devo ammettere che celebrare messa con meno gente ma più partecipe - prosegue il vescovo - ridà coraggio a tutti. Infine, la gente non vuole più una messa veloce e una predica breve; adesso si cerca sostanza, profondità».
Dello stesso parere anche monsignor Riccardo Mensuali, autore del volume Leggero come l'Amore. «Ha ragione da vendere l'arcivescovo di Milano: ogni domenica è come se si frequentasse una sana e bella scuola di vita, scuola del Vangelo. Davanti a scenari foschi di guerre, violenze familiari, baratri di vuoto, la domenica crea un'umanità diversa, forgia un uomo fatto per servire e non per essere servito, pacificatore, che fa emergere la vita, la guarisce, ne fa risaltare talenti preziosi, non la sopprime né la ostacola.
Non è questione che la messa piaccia o che annoi. È molto di più. E se proprio bisogna scegliere, meglio che piaccia, e questo dipende anche da noi preti. Direi che non si va a messa per ufficio, per abitudine. Ci si va per diventare gente migliore e più felice».
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