I l premio Nobel a Bob Dylan non mi sorprende: è un segno di questi tempi in cui la letteratura, per secoli fondamento di una civiltà, non è più generalmente considerata un sistema appetibile di valori e di conoscenza. In America sono ancora vivi i grandi romanzieri Philip Roth, Don De Lillo, Cormack McCarthy, gli strepitosi vecchi poeti di San Francisco Lawrence Ferlinghetti e Gary Snyder, e anche Stephen King e George R. R. Martin, il creatore del Trono di spade. Tutti autori che scrivono libri, che entrano in diverse maniere e a un diverso livello di complessità nel dominio della letteratura. Bob Dylan è altra cosa. È il menestrello di Duluth, noto universalmente per canzoni legate a un momento libertario e pacifista della storia del suo paese, ma che oggi si può anche vedere nello spot pubblicitario di una casa automobilistica: un uomo di musica, media e spettacolo. Avrà pure «creato nuove espressioni poetiche», come recita la motivazione del Nobel, ma «nella grande tradizione della canzone americana»: canzone, appunto. E non risulta che qualcuno pensò ai suoi tempi di candidare al Nobel, che so, un Cole Porter. Quando Robert Allen Zimmerman scelse il nome di Dylan, evocò, dicono senza volerlo, Dylan Thomas, straordinario poeta gallese che scrisse alcune delle liriche più alte e visionarie del Novecento, tra cui la celebre E la morte non avrà dominio, e che naturalmente non ebbe nella sua breve, disperata vita, non dico il Nobel, ma neppure riconoscimenti di sorta.
Così, mentre la letteratura vive nella borsa della comunicazione un orso che non sembra poter finire, la canzone e lo spettacolo godono di un toro prodigioso: sento già in Italia le voci giulive di chi ha candidato al Nobel Vecchioni («voglio una donna donna, /donna donna donna/ con la gonna,/ gonna gonna»), e sta per candidare Mogol («non piangere salame / dai capelli verderame») o Jovanotti («a te che sei il mio grande amore/ ed il mio amore grande», e con queste cazzate si crede pure Dante, chiosò Checco Zalone)): tutti grandi artisti nel lessico innocente di Carlo Conti.
C'è qualcosa di irresponsabilmente ridicolo nei nostri tempi. Di concettualmente distorto nel pensiero massificato. Dove tutto diventa eguale e indifferente. Se Bob Dylan va a Stoccolma, qualcuno penserà a Philip Roth, a Murakami, a Adonis per il Festival di Sanremo?
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