La politica "commissariata" dalla Consulta

La partita non si giocherà alle Camere, ma tra le mura della Corte costituzionale che rischia di diventare una sorta di supplente del Parlamento

La politica "commissariata" dalla Consulta

La debolezza della politica italiana sta tutta nell'agenda del mese che verrà. Le due date chiave sono infatti quelle dell'11 e del 24 gennaio, snodi cruciali per le sorti della maggioranza e il destino di una nuova legge elettorale su cui i partiti difficilmente potrebbero riuscire a mettersi d'accordo da soli. Due appuntamenti, quelli di gennaio, che mostreranno in maniera plastica quanto oggi sia debole la politica. Le partite in questione, infatti, non si giocheranno né alla Camera né al Senato, ma tra le mura della Corte costituzionale che rischia di diventare una sorta di supplente del Parlamento.

È vero che il giudizio che si terrà l'11 gennaio sui tre referendum presentati dalla Cgil che chiedono l'abolizione del Jobs Act, il ritorno all'articolo 18 e la cancellazione dei voucher è un passaggio per molti versi tecnico, ma comunque rischia di essere una sorta di via libera all'ennesimo affondo contro la maggioranza a guida Pd. Dopo l'ok della Consulta, infatti, il governo dovrebbe fissare la data dei referendum tra il 15 aprile e il 15 giugno, con il rischio che il voto popolare smonti un'altra riforma cardine del renzismo dopo quella a firma Maria Elena Boschi. È per questo che più probabilmente dopo l'11 gennaio la maggioranza cercherà di mettere mano al Jobs Act con dei ritocchi che scongiurino il voto referendario.

Ben altro peso politico ha invece l'appuntamento del 24 gennaio, quando la Corte costituzionale si dovrà pronunciare sull'Italicum. Al di là delle posizioni di circostanza che stanno tenendo in queste ore i diversi partiti, infatti, al momento è davvero difficile immaginare un terreno di confronto comune. Che comunque non sembra poter essere quello di un Mattarellum che non convince davvero neanche quelli che oggi lo mettono sul tavolo. Tutti, insomma, stanno facendo per così dire ammuina, in attesa che sia la Consulta a sbrogliare la matassa e rendere omogenee le leggi elettorali di Camera e Senato.

Il tutto anche e soprattutto per colpa di una politica - nello specifico di Matteo Renzi, che l'Italicum lo ha voluto a colpi di fiducia solo un anno e mezzo fa - che ha preferito non farsi carico del rischio che la riforma che aboliva il Senato venisse sonoramente bocciata, lasciando il Paese senza una legge elettorale utilizzabile. Un rischio che, peraltro, stando ai sondaggi univoci della vigilia era piuttosto alto.

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