La politica del "drago verde": no all'estremismo ecologista

Il premier ha definito "ambientalista" il suo esecutivo. Ma ha scelto ministri contrari alla decrescita felice

La politica del "drago verde": no all'estremismo ecologista

Il primo «ismo» del presidente è un assist ai vertici del M5s che cercano di contenere i tumulti dell'anima grillina. Mario Draghi ha appena radunato intorno a sé il primo consiglio dei ministri, fatto sedere intorno a sé il «comitato esecutivo», il drappello di tecnici fidati scelti d'accordo con il Quirinale, e «gli Altri», gli alieni (in questa fase politica) arrivati dai partiti a cui consegna il ramoscello d'ulivo a uso e consumo dei grillini: «Sarà un governo ambientalista».

Ma chi sogna il ritorno il ritorno di toninelliane «analisi costi e benefici», gli abbracci agli ulivi con la Xylella, i no Gronda, no Mose, no Tav, no tutto farebbe bene a studiare la squadra costruita dal premier e soprattutto i documenti che hanno firmato. «Oggi non possiamo permetterci il massimalismo ambientale» è il significativo monito contenuto in una rubrica tenuta su Scienza in rete da Roberto Cingolani, il neo ministro alla Transizione ecologica, insieme a Paolo Vineis, ordinario di Epidemiologia ambientale all'Imperial college di Londra, e a Luca Carra, direttore del magazine online e noto saggista scientifico.

Cingolani, esperto di robotica e intelligenza artificiale, nella rubrica interviene a più riprese su tematiche affini alla «transizione verde» ma sempre all'insegna dell'equilibrio e della responsabilità, mai della decrescita, felice o infelice. Al contrario, Cingolani e gli altri due autori sostengono che «sviluppo economico e lotta al cambiamento climatico non sono antitetici». In una rubrica del maggio 2019, si delinea una vera e propria «strategia per combattere il cambiamento climatico», basata sui cosiddetti «co-benefici». Un esempio: «L'idea di fondo è che agendo con politiche inter-settoriali in diversi settori dell'ambiente si riesce al tempo stesso a mitigare il cambiamento climatico e a prevenire molte malattie, riducendo così la spesa sanitaria. Inoltre gli interventi di mitigazione possono contribuire a creare posti di lavoro». In un'altra puntata della rubrica, c'è anche un paragrafo che certamente non potrebbe comparire nel programma giallorosso. Il titolo è: «la green economy non basta» e passa in rassegna i limiti di politiche basate solo su riciclaggio e riduzione del consumo energetico.

Cingolani del resto, insieme a Enrico Giovannini, è stato membro della task force diretta da Vittorio Colao, il cui piano, insabbiato da Conte, prevedeva sì un capitolo dedicato alla «Rivoluzione verde» ma mettendo l'accento sulla necessità di coniugare «sostenibilità ambientale e benessere economico». E infatti Cingolani, da direttore dell'Istituto italiano per la tecnologia, fu spesso attaccato dal Fatto quotidiano. E il piano Colao suscitò una levata di scudi tra i grillini, fortemente critici verso alcuni dei provvedimenti, tra i quali quelli in tema di ambiente. Il piano prevedeva infatti l'innalzamento dei livelli massimi di elettrosmog, che in Italia sono molto al di sotto della media europea, per permettere l'installazione delle antenne 5G, e la possibilità per il governo di bypassare ogni opposizione localistica, il classico Nimby, su opere definite strategiche. E il piano finì in un cassetto.

Nel primo consiglio dei ministri Draghi ha avviato le procedure per accorpare i dipartimenti nel nuovo ministero per la Transizione verde.

E certo, Draghi dovrà fare i conti con le resistenze di alcune delle forze che lo sostengono, ma di sicuro non si è circondato di estremisti green. Chi sogna «draghi verdi» in chiave anticapitalista o pro decrescita rischia gli incubi.

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