Un segnale simbolico degli umori sempre più malmostosi, a sinistra, verso colui che un giorno venne solennemente indicato come «punto di riferimento fortissimo dei progressisti», è arrivato ieri dal Parlamento.
Dove la commissione d'inchiesta sulla morte di Giulio Regeni ha chiesto l'audizione urgente del premier per interrogarlo sui suoi rapporti con l'Egitto di Al-Sisi, «alla luce degli ultimi rilevanti sviluppi delle relazioni bilaterali». Il riferimento è alla notizia della vendita di navi da guerra al Cairo, e diventa l'occasione per mettere (con l'avallo del Pd) in imbarazzo Giuseppe Conte. Da cui il Nazareno, sia pur con la prudenza dovuta alla mancanza di alternative, sembra prendere ogni giorno di più le distanze. «Per farci rispettare dall'Egitto, avremmo dovuto dire no», sottolinea Lia Quartapelle capogruppo dem in commissione Esteri.
Da un lato ci si divincola da Conte, dall'altro però ci si lega sempre di più a quel prezioso serbatoio di idee progressiste e straordinarie competenze di governo (si scherza, ovviamente) che è il Movimento Cinque Stelle. In un colloquio con il Foglio, ieri, il vice di Zingaretti, Andrea Orlando, sintetizzava bene la dicotomia: da un lato bastonate e altolà a Conte, dall'altro amorosi sensi con Crimi e le sue brillanti truppe. Orlando liquida la leadership contiana spiegando che l'attuale premier «non è Prodi», e dunque non deve dare per scontato di poter fare altri giri di giostra. Ma assicura di vedere «un'evoluzione nel M5s». In attesa che i grillini scoprano l'utilizzo del pollice opponibile, il Pd deve avere «una stella polare chiara: unità del centrosinistra e convergenza con un pezzo di populismo» che guarda «all'Europa e alla democrazia in modo compatibile con la nostra visione». La alleanza con loro è dunque destinata a diventare sempre più «stabile», perchè «è il modo giusto per battere le destre».
Orlando ha particolarmente a cuore l'intesa per il voto regionale in Liguria (ieri ne ha parlato a quattr'occhi con l'astuto Crimi), ma se a Genova - auspice Grillo - la cosa è quasi fatta, il Pd spinge per allargarla: in Puglia a sostegno del paragrillino Emiliano, e persino nella rossa Toscana, dove si lavora sottotraccia (anche per arginare il temuto successo della lista renziana).
I grillini però finora rispondono picche: hanno incassato, promettendo alleanze agli sprovveduti Dem, l'ambito regalo del Election day, che consente loro di fare la campagna elettorale sul referendum taglia-parlamentari, e ora si vogliono godere in pace il risultato, sperando che eviti alle loro liste il prevedibile flop. E proprio la fissazione al 20 settembre della data delle elezioni fa partire un altro siluro Pd verso Conte, con il governatore emiliano Bonaccini che - da presidente della Conferenza delle Regioni - firma insieme a Toti una lettera contro il governo per chiedere di tenerle prima, «anche al fine di garantire il regolare avvio dell'anno scolastico».
Zingaretti intanto invita il premier a non «sedere sugli allori» (quali allori, è difficile dirlo) e assicura che le critiche dem non servono «a chiudere un'esperienza, ma a farla andare avanti».
Il segretario Pd però ha le mani legate: far saltare Conte non si può, e persino le richieste di rimpasto (con la Azzolina in testa ad ogni lista nera) si infrangono contro la resistenza del premier, terrorizzato dalle conseguenze di ogni cambiamento.
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