Il potere a Surovikin per una guerra totale. Putin ascolta i falchi ma a Donetsk arranca

Svolta per evitare stallo e assalti al suo potere. Negoziato lontano senza vittorie sul campo

Il potere a Surovikin per una guerra totale. Putin ascolta i falchi ma a Donetsk arranca

Dall'operazione speciale alla guerra totale. Il brusco cambio di strategia si è materializzato ieri mattina quando un'ottantina di missili russi hanno colpito, oltre a Kiev, Leopoli e altre città, anche le sedi dei servizi di sicurezza e numerose infrastrutture strategiche tra cui ponti, centrali elettriche e torri di comunicazione. La svolta era nell'aria da settimane. A catalizzarla ha contribuito il camion bomba esploso venerdì notte su quel ponte di Kerch simbolo dell'annessione della Crimea alla Russia. Sin dalle prime ore di sabato le indiscrezioni provenienti dagli apparati di Mosca facevano intendere che l'operazione, attribuita ai servizi segreti di Kiev, valicava un'ormai sottilissima «linea rossa» accelerando la transizione verso una guerra senza più compromessi.

Dietro il drastico cambio di passo vi sono però anche gli insuccessi di un'«operazione speciale» finita, già da mesi, nel mirino dei falchi del Cremlino. Studiata per riportare l'Ucraina nella sfera d'influenza russa, puntava a risparmiare le infrastrutture strategiche ucraine e a limitare le perdite umane per conservare il consenso delle popolazioni filo russe. Nella pratica si è però rivelata fallimentare. A marzo il previsto, ma mancato «pronunciamento» di servizi segreti e generali ucraini a favore di Mosca aveva trasformato in un flop l'avanzata su Kiev. A metà estate i 120mila soldati russi, dispiegati su un fronte del Donbass lungo più di mille chilometri, si erano rivelati insufficienti a garantire la conquista del 40 per cento della repubblica di Donetsk ancora in mani ucraine. Uno stallo seguito dalla devastante controffensiva di Kiev che sfruttando la mobilità delle truppe riaddestrate in Europa e l'incisività degli armamenti americani avevano costretto i russi ad abbandonare la zona di Kharkiv e a ripiegare in quella di Kherson.

Chiusa l'operazione speciale si apre dunque il capitolo, devastante e complesso, della guerra totale. Una guerra che il Cremlino - evidentemente insoddisfatto dalle prove del ministro della Difesa Sergei Shoigu e del Capo di Stato maggiore Valery Gerasimov - delega in gran parte a quel generale Sergey Surovkin nominato comandante delle operazioni in Ucraina poche ore dopo l'attentato al ponte di Kerch. Soprannominato «generale Armageddon» per la determinazione con cui impiegò missili e bombardieri per strappare ai ribelli islamisti il controllo dei territori siriani il 55enne generale di origini siberiane incarna il ritorno a quelle tattiche della «terra bruciata» che caratterizzarono le operazioni dell'Armata Rossa in Afghanistan e dell'esercito russo in Cecenia. Come già dimostrato ieri mattina Surovkin non esiterà a usare ogni arma per colpire i leader politici e militari di Kiev da Zelensky in giù, passando per i centri di comando e le sedi dell'intelligence. Ma sotto la sua regia anche i Sukhoi 24 e 34 - i caccia-bombardieri russi impiegati fin qui con estrema discrezione - contribuiranno alla distruzione di centrali elettriche, nodi ferroviari, torri di comunicazione.

In questa prima fase il nuovo comandante punterà alla paralisi del Paese nel tentativo di immobilizzarne la logistica e rendere sempre più complesso il trasferimento delle armi occidentali provenienti dalla Polonia. Ma alla fine anche la guerra «senza limiti» del generale Armageddon dovrà misurarsi con i chilometri quadrati di territorio strappati al nemico. Per poter dichiarare una seppur parziale vittoria il Cremlino deve aggiudicarsi quel 40 per cento di territori della Repubblica indipendentista di Donetsk rimasti in mani ucraine. Solo quella conquista gli consentirà di proporre i termini per un cessate il fuoco e un'eventuale trattativa con gli Stati Uniti. Ma la presa di quei territori rappresenta la partita più difficile anche per un «duro» come Surovkin. Per riuscirci dovrà trasferire nelle immediate retrovie le munizioni e i pezzi di artiglieria indispensabili, secondo la dottrina strategica russa, per garantire i movimenti delle truppe al fronte.

Ma per farlo dovrà esporre la propria logistica ai colpi dei missili Himars o a quelli Atacms, con gittata fino a 300 chilometri, che Washington potrebbe decidere di fornire a Kiev in risposta all'escalation russa. E a quel punto le armi occidentali si rivelerebbero ancora una volta l'ostacolo più difficile da superare. Anche in una guerra senza limiti guidata da un generale senza troppi scrupoli.

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